giovedì, Dicembre 19, 2024
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Il punto di riferimento per le problematiche infettivologiche

L’Ospedale Luigi Sacco di Milano si apre al territorio affiancando le strutture che non hanno…

…dei reparti di malattie infettive ma che quotidianamente devono affrontare problematiche infettivologiche. Forte della propria esperienza nella protezione dei pazienti fragili, grazie all’attivazione di un ambulatorio vaccinale dedicato, la struttura può dare il proprio contributo per incrementare le coperture offrendo modelli per l’implementazione di moderni percorsi vaccinali di protezione dell’adulto, che devono tenere in considerazione non soltanto il fattore dell’età ma anche, e soprattutto, le fragilità di ciascun soggetto. Un progetto, che si svolgerà di concerto con la Regione Lombardia e tutta la rete infettivologica lombarda, che è stato illustrato nei giorni scorsi a Milano durante l’incontro “Percorsi vaccinali per i soggetti fragili: nuove prospettive per la Regione Lombardia”, promosso da Aristea, con il supporto non condizionante di GlaxoSmithKline, presso l’Asst Fatebenefratelli Sacco. “Nel prossimo futuro l’Ospedale Sacco avrà il compito di organizzare le vaccinazioni sul territorio per diventare punto di riferimento per tutta l’area metropolitana milanese, in particolare per quanto riguarda le vaccinazioni in ambito ospedaliero che interessano i pazienti fragili”, ha spiegato Andrea Gori, Direttore Malattie Infettive 2 presso l’Ospedale Luigi Sacco, che ha aggiunto: “L’obiettivo è essere di appoggio offrendo collaborazione a tutti gli ospedali che non hanno dei reparti di malattie infettive ma che, quotidianamente, devono affrontare problematiche infettivologiche. In questo senso, la Direzione dell’Ospedale Sacco, di concerto con la Regione Lombardia, promuove un nuovo approccio che supporterà l’area metropolitana, come punto di riferimento per tutte le problematiche infettivologiche. Un’iniziativa che andrà anche oltre l’esperienza dei percorsi ospedalieri specifici per i pazienti fragili perché si esplicherà in un’azione di coordinamento, d’introduzione di “policies” e di supporto, che sarà condotta dalla rete infettivologica lombarda”, ha concluso Gori.

Fin dalla metà del 2018, l’Ospedale Sacco ha sperimentato con successo l’attivazione di percorsi vaccinali ospedalieri dedicati ai pazienti fragili, inizialmente dedicati ai pazienti con Hiv e poi ampliati anche ad altre patologie, come ha ricordato Giuliano Rizzardini, Direttore Malattie Infettive 1 presso l’Ospedale Luigi Sacco, Polo Universitario Milano: “È un’esperienza che abbiamo maturato rendendoci conto che le coperture vaccinali sui pazienti che seguivamo non erano particolarmente elevate. Di qui la scelta, in accordo con l’Azienda di Tutela della Salute-Ats, di attivare un ambulatorio vaccinale dedicato ai pazienti Hiv positivi che seguivamo, che è stato uno dei primi in Italia, in cui eravamo noi specialisti a prendere l’appuntamento per i pazienti dare indicazioni sulle vaccinazioni da somministrare in funzione della storia e delle condizioni di ciascun paziente. In questi tre anni e mezzo – ha spiegato Rizzardini – su una corte di circa 6.500 pazienti Hiv positivi, il 50 per cento ha iniziato un piano vaccinale e il 60 per cento l’ha completato. Un risultato significativo se si considera che sono ben otto i vaccini proposti – dall’antipneumococcico a quello contro l’Haemophilus influenzae di tipo B; dai vaccini contro la meningite ACWY e tipo B a quelli contro le epatiti A e B, passando per il vaccino anti-difterite-tetano-pertosse e quello contro l’Herpes Zoster – che richiede un approccio personalizzato per ciascun paziente che viene coinvolto nella scelta e questo elemento lo fa sentire più tutelato”. L’efficacia dell’iniziativa – che ha registrato anche ottime performance in occasione degli eventi eccezionali come il Covid e la vaccinazione contro il vaiolo delle scimmie (monkey pox) “siamo riusciti a intercettare in breve tempo oltre 4mila pazienti per la prima e la seconda dose e abbiamo fatto 1.000 vaccinazioni contro monkey pox”, sottolinea Rizzardini – è stata poi estesa anche a pazienti affetti da altre patologie: dalla reumatologia a quelli affetti da malattie infiammatorie intestinali.

Dal dibattito è emerso come per i pazienti cronici sia fondamentale l’aspetto della corretta informazione e quello del rapporto di fiducia con lo specialista, punto di riferimento che può aiutare a incrementare l’accesso alla vaccinazione. “Quando si parla di informazione ai cittadini sul tema della prevenzione nei confronti dei pazienti fragili, soprattutto in ambito vaccinale – ha detto Rosaria Iardino, Presidente di Fondazione The Bridge – bisogna considerare due differenti aspetti: uno legato alla fragilità sanitaria, che riguarda una fascia di popolazione caratterizzata da cronicità, età e multipatologie; l’altro, costituito da barriere quali la mancanza di fiducia e un basso livello di alfabetizzazione sanitaria. Su questi fattori incide molto anche la disinformazione. Avere a che fare con la fragilità implica una cura particolare, anche e soprattutto nella comunicazione, perché l’utilizzo delle parole determina il senso delle informazioni e il modo in cui vengono recepite. La comunicazione troppo accelerata e mediatizzata crea infodemia e non funziona mai.”

Un aspetto sottolineato anche da Carmine Falanga, Responsabile Progetti Anlaids Sezione Lombarda ETS, che ha ribadito: “I pazienti della nostra Associazione sono fragili non solo fisicamente ma anche psicologicamente. Anche il livello di scolarizzazione è importante. Bisogna riuscire a comunicare nel modo più immediato, corretto e semplice, l’importanza delle vaccinazioni. Come Associazione dobbiamo rappresentare per i pazienti una realtà che facilita un percorso. Da qui, l’importanza di lavorare su conoscenza, consapevolezza e importanza delle vaccinazioni”. Enrica Previtali, Direttore Esecutivo Amici Italia, ha ricordato come “per chi soffre di Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali non esistono percorsi vaccinali definiti, nonostante ci sia la consapevolezza scientifica dell’importanza di seguire le vaccinazioni raccomandate dalle Linee guida nell’ambito delle infezioni delle MICI, si è ancora lontani dalla pratica clinica diffusa. Durante il periodo dell’emergenza pandemica una campagna di sensibilizzazione e informazioni sulle “raccomandazioni” per i pazienti affetti da malattia di Crohn e Colite Ulcerosa ha garantito una quasi totale copertura vaccinale per l’infezione da Covid, grazie alla collaborazione tra la società scientifica e l’Associazione dei pazienti che insieme hanno diffuso un messaggio chiaro e di fiducia.

“Malattia di Crohn e Colite Ulcerosa implicano maggiori rischi di incorrere in complicanze infettive” prosegue Enrica Previtali – La tubercolosi latente; l’Epatite A, B e C; l’herpes zoster; le polmoniti batteriche sono solo alcuni esempi di malattie che possono avere conseguenze molto gravi in un paziente affetto da MICI. Le vaccinazioni andrebbero eseguite al momento della diagnosi della Malattia Infiammatoria Cronica Intestinale – dichiara Enrica Previtali – perché la vaccinazione eseguita in un soggetto che non è ancora immunosoppresso ottiene una protezione pari a quella della popolazione generale, mentre in soggetti che stanno assumendo farmaci immunosoppressori o biologici, l’effetto della protezione si riduce del 30-40%. Le strategie da attuare per scongiurare l’aumentato rischio a cui va incontro il paziente affetto da MICI a causa del suo elevato livello di immunosoppressione sono quindi adeguati screening pretrattamento e vaccinazioni”. Cristina Visigalli dell’Associazione Amos, ha messo in luce il fatto che “per i pazienti oncologici i programmi vaccinali acquisiscono una maggiore rilevanza data la loro suscettibilità alle infezioni. Il grado di compromissione del sistema immunitario del paziente oncologico, però, è estremamente variabile, in quanto dipende dalla patologia, dallo stadio della stessa, dal tipo di terapia effettuata. Per questo motivo è importante che il paziente sia seguito, nel percorso vaccinale, dal Centro Specializzato che lo ha preso in carico, con specialisti che conoscono la sua storia e i trattamenti in corso”.

“Vogliamo che, in ospedale, il vaccino diventi sempre più uno strumento come sono gli altri farmaci”, così Danilo Cereda, Dirigente dell’Unità Organizzativa Prevenzione della Direzione Generale Welfare di Regione Lombardia, che aggiunge: “Dobbiamo creare una cultura del vaccino come strumento alla portata di tutti senza difficoltà di accesso, facilitando i percorsi vaccinali. Per fare questo dobbiamo agre in due direzioni: in primis iniziare a capire la dimensione del fenomeno, attraverso un’attenta analisi dei dati per comprendere quanti sono i pazienti fragili, chi li ha in carico e qual è il grado di severità della patologia. In seguito, è necessario facilitare un coordinamento tra i clinici, anche creando gruppi di lavoro multidisciplinari. Dobbiamo investire nella logica della prevenzione e la vaccinazione è la risposta, prendendo però in considerazione sia tutte le patologie sia tutte la vaccinazioni per l’adulto. Quindi, non solo l’antinfluenzale, l’antipneumococcica e l’anti Herpes Zoster, ma anche la vaccinazione contro difterite-tetano-pertosse e quella contro le epatiti A e B. Vaccinazioni, infine, non solo in ospedale: c’è anche una particolare attenzione per le campagne vaccinali rivolte ai pazienti fragili nelle residenze sanitarie per anziani (rsa) e in quelle per diversamente abili”.

“L’alleanza ospedale-territorio è fondamentale – dichiara Catia Rosanna Borriello, Responsabile Struttura Malattie Infettive, Vaccinazioni e Performance di Prevenzione della Direzione Generale Welfare di Regione Lombardia Esiste, infatti, un doppio canale: l’offerta territoriale che comprende tutti i pazienti, compresi i fragili, che vede i Centri vaccinali, i Medici di Medicina Generale e le farmacie. Poi c’è la parte ospedaliera che, oltre a farsi carico dei pazienti che ha in cura (quindi anche i “fragili”), può dare importanti indicazioni anche sull’aspetto epidemiologico, sulla diffusione sia dell’influenza, che dello pneumococco che dell’herpes zoster, e sulla gravità delle malattie stesse. Alcune di queste vaccinazioni hanno come unico riferimento i Centri Vaccinali o gli hub. Il passaggio futuro dovrebbe vedere un’estensione dell’offerta vaccinale al territorio, in particolare al Medico di Medicina Generale, con la possibilità di potersi sottoporre alle vaccinazioni durante tutto l’arco dell’anno”.  “Occuparsi del paziente oncologico è un compito che deve abbracciare tutte le sue esigenze, accompagnandolo anche dopo il termine delle cure ospedaliere e nella programmazione dei controlli della malattia, la cosiddetta fase di follow-up – ha commentato Paolo Pedrazzoli, Direttore SC Oncologia, Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo, Pavia – Nel concetto di presa in carico del paziente oncologico non devono esserci interruzioni, ma il percorso deve essere garantito durante tutto il percorso di cura e di follow-up, e questo implica anche la protezione del paziente,  alla luce della sua ‘fragilità intrinseca, dal rischio di contrarre malattie che potrebbero compromettere ulteriormente il proprio stato di salute. La stessa AIOM – Associazione Italiana di Oncologia Medica, in linea con quanto già fatto per Influenza, pneumococco e Covid, ha recentemente, stilato le ‘Raccomandazioni sull’uso della vaccinazione per l’Herpes Zoster nei pazienti con neoplasia solida’, sottolineando che i pazienti oncologici, soprattutto se sottoposti a terapie attive che causano linfopenia/neutropenia severa – conclude Pedrazzoli – si associano, infatti, a un rischio più elevato di riattivazione del Virus Varicella Zoster (VZV)”.

Fra le case history affrontate anche quella della vaccinazione anti Herpes Zosterche, come previsto dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale, può verificarsi più facilmente in presenza di alcune patologie o aggravarne il quadro sintomatologico, tanto che oltre alla fascia d’età anziana la vaccinazione è raccomandata in presenza di diabete mellito, patologie cardiovascolari, BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva) e in soggetti destinati a terapia immunosoppressiva. Comunemente noto come Fuoco di Sant’Antonio, l’Herpes Zoster è causato dalla riattivazione del virus varicella Zoster che colpisce le strutture nervose. Alla riattivazione, di solito, si associa una dolorosa eruzione cutanea che, nonostante possa manifestarsi in qualsiasi parte del corpo, compare più frequentemente su un solo lato del torace o dell’addome sotto forma di una singola striscia di vescicole. Il virus, infatti, dopo aver causato la varicella, rimane inattivo nel tessuto nervoso per poi risvegliarsi, a distanza di molti anni, sotto forma di fuoco di Sant’Antonio.

All’incontro hanno preso parte anche Antonino Zagari, Direttore Socio-Sanitario dell’Asst Fatebenefratelli Sacco, che ha ricordato l’impegno dell’Ospedale Sacco per la protezione dei pazienti fragili.

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