sabato, Aprile 20, 2024
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Il giovane Antonio Ligabue, gli anni in Svizzera

di Ugo Perugini

Renato Martinoni, professore presso l’università di San Gallo, vuole che la Svizzera si riappropri della figura di Antonio Ligabue, cercando di cogliere quanto di significativo l’esperienza del pittore in terra elvetica (dalla nascita a Zurigo nel 1899 fino al 1919) abbia inciso sulla sua formazione di artista.

Ed è una esigenza più che giustificabile, considerato che la Svizzera è stata davvero matrigna con lui, avendolo cacciato via in malo modo (fu espulso dall’autorità perché “individuo mentalmente minorato e socialmente pericoloso”), senza accorgersi, ma era impossibile allora prevederlo, che sarebbe diventato un sensibilissimo pittore, forse uno dei più apprezzati, ancora oggi.

Ligabue, che si farà chiamare così rinnegando il cognome del padre Laccabue, per tutta la seconda parte della sua vita, trascorsa in Italia, a Gualtieri, in un paese della Bassa emiliana, visse nella miseria, deriso dalla gente che lo chiamava il matto (“Toni al Matt”), finché ci si accorse dell’originalità delle sue opere e si scoprì la sua vera arte.

Ligabue non è un pittore naïf

Per molto tempo, fu rinchiuso nel ghetto della definizione di “pittore naïf”, ma come diceva Bernardo Bertolucci, era un “pittore diverso”, con un linguaggio suo, mutuato non dall’accademia ma capace di “imprestiti culturali lontani”, provenienti dall’Europa di van Gogh e di Rimbaud. Tra chi ha il merito di averlo scoperto c’è anche Cesare Zavattini, l’indimenticato autore del film “Miracolo a Milano”, che riconosceva come certi suoi paesaggi siano debitori di un ricordo giovanile profondo.

Martinoni, nel suo bisogno di riscattare la figura di Ligabue in terra elvetica, lo chiama il “van Gogh svizzero” e con attenzione cerca di scoprire quali siano stati nella sua gioventù gli elementi che hanno stimolato la sua arte, i suoi autoritratti dallo sguardo sempre carico di significati psicologici e le raffigurazioni del mondo animale, nella sua ferocia primordiale; opere che incantano per la loro forza cromatica e l’apparente semplicità ma che nascondono una complessità di rimandi culturali, di citazioni stilistiche e di contaminazioni incredibili.

Valore documentario e archivistico

Il libro, non dimentichiamolo, ha un valore documentario importante che può anche aiutare chi volesse approfondire ulteriori aspetti della personalità di Ligabue, considerata la ricchezza delle fonti archivistiche portate alla luce. E, infatti, i retroscena, anche minimi, che l’Autore rivela sono molti. Spesso, possono apparire secondari ma qui il compito è proprio raccogliere tutti gli elementi utili per ricostruire una figura umana e artistica che altrimenti risulta sfocata e in lontananza.

Si recuperano informazioni sulla sua famiglia d’origine, il padre ignoto, l’affidamento a un’altra famiglia (Göbel), il trasferimento a San Gallo, l’avvelenamento della famiglia di origine, la scuola di Marbach e la clinica di St Pirminsberg.

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Si scopre, ad esempio che a Marbach, istituto nel quale Ligabue rimase per due anni (1913/15) si applicano i metodi della pedagogia curativa e ci si occupa di ragazzi “idioti”; il compito della scuola è quello di educare l’uomo, “facendolo passare dallo stato naturale a quello sociale e morale”, attraverso lo studio e il lavoro che prevede anche il frequente contatto con animali domestici: mucche, asini, cavalli, conigli, volatili da cortile.

L’interesse verso gli animali

E Ligabue nel suo bestiario artistico predilige infatti il cavallo, il cane, ma anche il gallo, la gallina e il bue. Per quanto riguarda il richiamo agli animali esotici, prevalgono il leopardo, le tigri, il leone. Scopriamo inoltre che Ligabue ha anche la possibilità di leggere libri, apprezzarne le figure; nei suoi viaggi a Zurigo forse si imbatte nelle opere di Van Gogh, Segantini.

Certo conosce i lavori del pittore naïf Adolf Dietrich. Quando, dopo essere stato espulso da Marbach,  entra nella clinica psichiatrica  a St. Pirminsberg si scopre che il ragazzo è negato per i numeri ma piuttosto interessato alle scienze naturali e abile nel disegno, ma è qui che gli viene diagnosticata impietosamente una “deficienza mentale innata” e dopo alcune manifestazioni violente, viene allontanato dalla Svizzera e rimpatriato in Italia.

Entrare all’interno di un’esistenza tanto complessa quanto dolorosa, come la descrive Renato Martinoni, può aiutare il lettore a farsi un’idea più precisa e profonda dell’arte di questo grande pittore.

Renato Martinoni, Antonio Ligabue, Gli anni della formazione (1899-1919), Ricerche Marsilio, 22 euro.  

Se volete rivedere Antonio Ligabue, ecco un filmato realizzato tre anni prima della sua morte: https://www.youtube.com/watch?v=8OpJLvlJJ-U

 

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