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Il duello del milanese Felice Cavallotti (1842 – 1898)

Il 6 marzo 1898, a seguito di un diverbio tra lo stesso Cavallotti (soprannominato “bardo della democrazia”) e Ferruccio Macola, direttore del giornale “Gazzetta di Venezia”, ebbe luogo il duello tra i due sfidanti nel giardino di Villa Cellere presso Roma.

Vennero stabilite precise regole tra le quali: “I duellanti non vestiranno maglie e indosseranno camicie non inamidate”. I padrini erano rappresentati dalle seguenti persone: l’onorevole Camillo Tassi e lo scrittore Achille Bizzoni si schieravano a favore di Cavallotti mentre Carlo Donati e Guido Fusinato erano dalla parte di Macola, di vent’anni più giovane rispetto allo sfidante.

Venne pure puntualizzata la modalità di questo combattimento ossia: “Lama affilata, appuntita e guantone da scherma per uno scontro senza esclusione di colpi”. Poche ore prima, Cavallotti scrisse due lettere. Una indirizzata alla contessa Ersilia Caetani Lovatelli che quel giorno lo attendeva a pranzo (invito cortesemente rifiutato per ovvi motivi).

La seconda ad un amico carissimo, Gian Pio Bocelli, al quale raccomandò il più giovane dei figli, con preghiera di sorvegliarlo e di indirizzarlo opportunamente in caso di difficoltà. Al momento dello scontro, Felice appariva nervoso, comunque bene in forma malgrado suoi cinquantasei anni.

D’altro canto, tutte le previsioni di successo erano a favore di quest’ultimo, considerato che il “bardo” aveva al suo attivo niente meno che una trentina di duelli, tutti felicemente risolti.

Alle tre del pomeriggio iniziò il preannunciato scontro con un primo assalto. Dopo meno di un minuto fu dato l’alt dai padrini di Felice, ritenendo che fosse stato colpito al collo. Riscontrato il nulla di fatto, il combattimento riprese. Al secondo assalto, Cavallotti fu raggiunto, dopo una lacerazione della camicia, da un piccolo colpo al torace. Venne ridato l’alt, ma fu dimostrato che si trattava di un’inezia.

Al terzo assalto, la punta della sciabola del Macola penetro’ purtroppo nella bocca di Cavallotti, il quale lasciò cadere immediatamente la spada. Dopo non più di cinque minuti spirò, perché il colpo trafisse contemporaneamente il palato e la carotide, provocando un copioso dissanguamento.

I duelli, sebbene proibiti, erano a quel tempo tollerati, a patto che non si riscontrassero decessi. Fu così che il Macola fu condannato a tredici mesi di reclusione. Emarginato per sempre dalla vita sociale e politica, sì suicidio nel 1910.


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