di Carlo Radollovich
Correva l’anno 1890 e il milanesissimo Marco Praga, dopo aver scritto una commedia di successo l’anno precedente (si trattava di “Le vergini” interpretata da Virginia Marini) si stava gustando l’apice della notorietà con la rappresentazione de “La moglie ideale”, ritenuta da molti il suo capolavoro.
Nel corso di una bella serata, si trovava seduto al Savini per la consueta partita a carte con gli amici. Stava vincendo alla grande quando vide entrare nel locale l’amico Giacomo Puccini. Le prime parole che il musicista gli fece piovere addosso furono queste: “Tu mi devi fare un libretto”.
Veramente stupito malgrado la profonda ammirazione per Giacomo, il commediografo tentò di schermirsi, anche perché in vita sua non aveva mai pensato di scrivere libretti destinate a opere liriche. Ma Puccini, osservando il suo sgomento, lo tranquillizzò dicendogli che non doveva affatto preoccuparsi circa la scelta dell’argomento perché in cuor suo aveva già preso una decisione.
Si trattava di “Manon Lescaut”, la sfortunata storia d’amore intercorsa tra la donna e lo studente Renato des Grieux. Marco Praga finì con l’accettare e in seguito venne coadiuvato da Domenico Oliva. Va però subito ricordato che la stesura del libretto costituirà per lui un vero tormentone.
Proseguiamo per gradi. Puccini non possedeva il risoluto carattere di Verdi, il quale amava sparare subito i propri giudizi di cui era certo. Il toscano, per contro, disponeva di una caratterialità più morbida e prima di pronunciarsi con decisione sul tal argomento, ci girava attorno per una decina di volte.
Poco dopo aver ricevuto il libretto, lo lesse con molta attenzione e il testo non incontrò la sua approvazione. Convocò Praga e Oliva e non smentendo il suo modo di fare disse: “Signori, il vostro lavoro non è affatto male, però…”. Il significato delle sue parole era però decisamente chiaro: qui c’è ancora qualcosa da rivedere e da reimpostare.
I due rinunciarono a rimetterci le mani e decisero di passare il libretto a Luigi Illica, che in particolare lavorò sulla scena iniziale del secondo atto e sul terzo. Alla fine, nessuno dei librettisti sottoscriverà il testo, tanto che l’editore Ricordi stampò il libretto senza citare gli autori.
Ma per Giacomo Puccini l’opera significò un autentico balzo in avanti. Lui che aveva già ottenuto un ottimo risultato con “Edgar”, spiazza ancora una volta la critica più severa e sul Corriere della Sera apparirà la seguente frase: “Dall’Edgar a questa Manon, Puccini ha saltato un abisso”.
Marco Praga si consolò con l’uscita di un romanzo (“La biondina”) pubblicato nel 1893 e che riscosse un discreto successo. Poi curò con molta saggezza l’organizzazione della Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE) che diresse assai bene tra il 1896 e il 1911.