Il 27 gennaio si celebra il Giorno della Memoria, la ricorrenza internazionale con la quale si commemorano tutte le vittime della persecuzione nazista che prese di mira milioni di persone per la loro nazionalità, per le loro ideologie politiche e il loro credo religioso.
Forse non tutti sanno che tra le vittime ci furono anche migliaia di Testimoni di Geova.
I Testimoni di Geova, allora conosciuti come Studenti Biblici vennero bollati come “nemici dello Stato”, come affermato dalla storica Christine King, “per il loro aperto rifiuto di accettare anche gli aspetti più marginali del [nazismo] contrari alla loro fede e al loro credo”.
Per motivi religiosi, infatti, i Testimoni erano politicamente neutri e rifiutavano azioni e ideologie razziste promosse dall’esercito tedesco, un regime di cui contestavano pubblicamente la crudeltà e, per questo, furono oggetto di persecuzioni.
Di circa 35.000 Testimoni presenti in Europa, più di un terzo subì persecuzioni dirette venendo arrestata o imprigionata e i loro figli, invece, vennero affidati a famiglie naziste o mandati in riformatorio. Si stima che in totale siano stati circa 4200 i Testimoni di Geova – identificati con un triangolo viola – che finirono nei campi di concentramento: di questi morirono in circa 1600, di cui 370 per esecuzione.
Uno dei massimi esperti riguardo l’Olocausto, lo storico Detlef Garbe, scrisse che le intenzioni delle autorità naziste erano di eliminare completamente gli Studenti Biblici e lo fecero cercando di infrangere le loro convinzioni religiose offrendo loro la libertà. Attraverso una dichiarazione di abiura richiedevano al firmatario di rinunciare alla propria fede, obbligandoli a denunciare altri Testimoni e a sottomettersi completamente al governo nazista che dovevano difendere con le armi. Torture e privazioni erano i meccanismi tramite i quali tentare di convincere a firmare ma, sempre secondo Garbe, furono pochissimi coloro che arrivarono a rinnegare la propria fede.
E fu proprio per gli elevati principi morali che i Testimoni di Geova dimostravano che le SS decisero di rendere una Testimone imprigionata nel campo di Buchenwald, Maria Ruhnau, aiutante della principessa Mafalda di Savoia, figlia del re Vittorio Emanuele III internata nel campo con il falso nome di Frau von Weber. I nazisti speravano che la moralità della Ruhnau le permettesse di raccogliere informazioni confidenziali sulla famiglia reale e che, quella stessa integrità, l’avrebbe poi spinta a raccontare tutto ai nazisti. Tra le due donne, invece, si creò un rapporto di grande fiducia reciproca tanto che, prima di morire nell’agosto del 1944, la principessa lasciò in dono all’amica il suo orologio.
La coercizione nazista, quindi, fallì nel caso dei Testimoni che portarono avanti la loro resistenza nonviolenta, principio che, ancora oggi, merita una profonda riflessione.