di Carlo Radollovich
Si trattava, di norma, di un appellativo in dialetto milanese usato per personaggi di un certo lignaggio che si trovavano in visita alla nostra città oppure qui residenti. Vi è tuttavia da notare che a volte “Can de la bissa” si tramutava in un vero e proprio insulto quando qualcuno dei nostri concittadini osava mettersi in mostra più del dovuto o addirittura si vantava di proprietà mai possedute.
Va in ogni caso ricordato che, con tale nome, venivano chiamati i mastini impiegati nella caccia da parte dei Visconti, riconoscibili per lo stemma del ben noto Biscione nell’atto di divorare un bambino (vedi foto), stemma in panno che veniva appeso al collo di questi cani. Essi venivano spesso sguinzagliati per le vie di Milano e godevano di totale immunità anche se, scorrazzando liberamente, creavano danni alla cittadinanza o addirittura morsicavano.
Chiunque intendesse reagire contro le scorribande canine o addirittura ferisse uno o più animali, era passibile di pesanti multe o addirittura della confisca dei beni personali. Particolare curioso: il mantenimento dei mastini era a carico della nostra città e qualora fossero entrati anche casualmente in una casa, il proprietario era tenuto non solo a fornire loro un pasto, ma anche ad allevarli se cucciolotti o comunque non ancora adulti.
Si racconta a questo proposito la storia di un povero abate che, essendosi rifiutato di nutrire due mastini, si vide appioppare la folle ammenda di 4000 scudi. Angosciato, si rivolse direttamente a Bernabò Visconti, pregandolo di voler cancellare la multa. “D’accordo – rispose il signore di Milano – ma solo qualora tu riuscissi a darmi le seguenti quattro risposte: 1. Qual è la distanza tra la terra e il cielo. 2. Quanta acqua contengono i mari. 3. Che cosa avviene nelle profondità dell’inferno, 4. Quanto vale la mia persona”.
Fu un maniscalco, amico dell’abate, a suggerire le risposte: 1. Da qui al cielo si conteggiano 36 milioni di braccia + trenta passi. 2. I mari contengono 9050 milioni di litri d’acqua + 80 barili (se Bernabò non avesse creduto a questi dati, sarebbe stato libero di effettuare i necessari controlli). 3. All’inferno si squarta, si taglia, si impicca, esattamente come succede a Milano. 4. La persona di Bernabò ha un valore pari a 29 denari, uno in meno rispetto alla cifra pagata per la vendita di Gesù.
Purtroppo, l’anonimo autore del racconto non ci dice quale sia stata la reazione di Bernabò e se l’abate riuscì a scampare alla sua ira…