Un atto unico di un’ora o poco meno. Eppure in questo limitato spazio di tempo, l’Autore, che è un Eugenie O’Neill, già insignito del Premio Nobel, traccia un efficacissimo affresco di un’epoca e di alcuni personaggi stereotipi di una America non ancora completamente disillusa e alla ricerca di sogni che possano dare speranze.
Il merito va soprattutto a Roberto Trifirò, che ha tradotto, insieme a Claudio Lobbia, il testo originale di “Hughie” in una lingua viva e persuasiva, e ha interpretato in modo altrettanto convincente il personaggio di Erie Smith, in un quasi monologo di grande efficacia comunicativa.
Anche la scenografia, con il lungo bancone della hall dell’hotel che occupa tutta la scena, sospeso e mobile, che trasmette fisicamente un senso di incertezza e precarietà, si addice bene alle storie che in quel luogo si raccontano tra fantasie, desideri, speranze, illusioni, spesso alterate dall’alcol.
Erie è un giocatore d’azzardo, un truffatore che frequenta la malavita, sempre alticcio, e trova nel portiere d’albergo Hughie, un uomo mite, ingenuo, “boccalone”, la persona giusta a cui raccontare le sue storie nelle quali il denaro scorre a fiumi, grazie alle vincite al gioco, e il protagonista è sempre circondato da donne bellissime, auto magnifiche, in luoghi fantastici.
Alla fine sia Eric che Hughie hanno bisogno di illudersi che la vita sia diversa da quella che vivono. Il primo racconta solo le avventure sue o di altri finite bene, falsificando la realtà – che è ben più triste – proprio come fanno i giocatori; l’altro, accetta di ascoltarle e credervi per sentire che sapore ha il successo, cosa che la sua monotona esistenza non potrà mai permettergli.
Insomma, due solitudini che si reggono l’un l’altra in una America in cui il mito di successo portato alle sue estreme conseguenze decreta chi ce l’ha fatta (magari solo apparentemente) e chi invece è rimasto indietro e le illusioni non può nemmeno permettersele e le elemosina da altri.
Il gesto di generosità di Erie che al funerale di Hughie farà arrivare una corona da 2000 dollari è il tributo che l’uomo rivolge a una persona che si è tirata fuori dalla competizione sociale, ma lo ha comunque sempre ascoltato, sapendo bene che le storie che sentiva narrare erano solo fantasie ma facevano bene a tutti e due. Una riflessione un po’ amara ma forse l’unico modo per affrontare, senza troppo soffrire, la vita.
Fino al 3 marzo all’Out Off, via Mac Mahon 16, mercoledì, venerdì e sabato ore 19.30; martedì e giovedì ore 20.30 – domenica ore 16.00