lunedì, Ottobre 7, 2024
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HEMINGWAY E UNA SUA STORIA MILANESE

di Carlo Radollovich

A soli diciotto anni, lo scrittore era già un valido cronista del giornale “Star” di Kansas City. Appena giunto a Milano nel giugno del 1918 lasciò il lavoro e, come volontario, venne arruolato nelle truppe comandate dal generale John Pershing e assegnato alla Quarta Sezione della Croce Rossa americana, di stanza a Schio, nel Veneto. Tuttavia, prima di lasciare la nostra città, volle gustare un delicatissimo cocktail (si fa per dire) in un albergo del centro, ove una una buona dose di Martini lo avrebbe decisamente rinvigorito e preparato al grande passo…

Si mise subito in mostra per il suo coraggio, andando addirittura a consegnare a certi nostri soldati, in prima linea, generi di prima necessità. Fu pure incaricato di consegnare messaggi al fronte, impegno che portò sempre a termine con grande determinazione malgrado i numerosi pericoli. Purtroppo, nel corso di una operazione particolarmente rischiosa, venne raggiunto alle gambe da frammenti di una bomba esplosa e, poco dopo, fu la volta del suo ginocchio destro, ferito seriamente in più punti.

Prontamente medicato alla meglio, venne caricato su un treno-ospedale diretto a Milano e qui arrivò il 17 luglio 1918. Fu ricoverato in un piccolo ma attrezzatissimo ospedale di via Cantù angolo via Armorari e qui subì addirittura dodici interventi con conseguente ingessatura per diverse settimane. Alleviò la sua degenza una graziosissima crocerossina, Agnes von Kurowsky (1892-1984), anche lei americana e volontaria in Italia. E il nostro Ernst non tardò ad innamorarsene e nacque una reciproca simpatia, ricca di molti sguardi.

Quando lei lasciò Milano per assolvere altrove i suoi compiti infermieristici, iniziò con lui una fitta corrispondenza, ricca di reciproci complimenti, a dimostrazione tuttavia che si trattò di un amore platonico. Anche le frasi contenute nelle loro lettere non erano passionali. Citiamo “Tu sei la luce della mia esistenza” e lei “Tu sei il mio eroe, l’Ernestissimo tra gli Ernesti”.

Hemingway, forse pregustando la possibilità di riuscire a rafforzare più concretamente il suo legame con Agnes, scrisse ai suoi genitori: “Non desidero tornare a casa prima della fine della guerra”. Ma lei, nel corso di una sua visita a Milano nell’ottobre del 1918, gelò il povero Ernest dicendogli chiaramente che la loro storia, frutto esclusivo di una limpida anche se affettuosa corrispondenza, doveva intendersi finita sotto ogni aspetto. Successivamente gli annunciò di essersi innamorata del giovane tenente Domenico Caracciolo.

E quale fu la reazione di Hemingway ? Ritornato in America nel 1919, per dimenticarla frequentò diverse ragazze, non disdegnò una ripetuta “cura” di buon vino e riprese a scrivere con il suo stile essenziale e asciutto che ben conosciamo. Dopo la pubblicazione di “Addio alle armi” (1945) – ove nel testo Agnes si trasformò in Catherine – la crocerossina americana si affrettò a precisare che “non era lei la ragazza descritta nel romanzo anche perché, in quell’ospedale milanese, era del tutto impossibile avere solo un attimo di intimità…”

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