di Carlo Radollovich
A volte si sente affermare che il carattere e il comportamento degli italiani, non sempre ad hoc, potrebbero essere imputabili alla troppo nutrita serie di dominazioni straniere che abbiamo dovuto sopportare, nostro malgrado, nel corso dei secoli. E’ vero che, dalla data di unificazione in poi, avremmo dovuto o potuto riplasmare certi difetti che, per colpa di “ospiti” non graditi, si erano accumulati. Ma certe sopraffazioni, in particolare le umiliazioni subite, sono in parte rimaste nel nostro DNA. Vedi ad esempio una certa sudditanza psicologica nei confronti del potere mai debellata e pure una eccessiva dose di individualismo che non sempre riusciamo a frenare. Insomma, non solo caratteristiche relative ad un popolo di eroi, santi, poeti e navigatori che molte leggende hanno contribuito a creare. Certamente, alcuni dei “contrassegni” più infelici sembrerebbero la conseguenza di un passato purtroppo oppressivo e anche non costruttivo. Diamo uno sguardo a coloro che, durante la dominazione spagnola a Milano, rappresentavano i milanesi. Leggeremo nomi per niente di spicco, assolutamente non autorevoli, non in grado di far fronte a precisi compiti che un governatorato efficiente richiedeva. Talvolta furono richiamati da Madrid per motivi che oggi potremmo classificare di “scarso rendimento”. E la breve durata del loro governatorato lo conferma ampiamente.
Iniziamo con Gonzalo Fernandez de Cordova (1585-1635), principe di Maratra, governatore della nostra città dal 1626 al 1629, la cui fama venne accresciuta dal Manzoni, non certo in chiave positiva, soprattutto quando descrisse la sua insensibilità nei confronti del popolo. Anche se venne in parte difeso da uno storico italiano, Fausto Nicolini (1879-1965), resta il fatto che Gonzalo Fernandez non era affatto dotato di acume politico e intraprese poco o nulla per farsi amare dai milanesi. Quando lasciò la nostra città, perché rimosso dall’incarico, la gente di Porta Ticinese lo insultò con urla, gestacci e fatto oggetto di molti lanci di “fuston”, ossia torsi di cavolo.
Spinola Doria, marchese de los Balbases, restò in carica solo un anno (dal 1629 al 1630) e Alvaro Bazan soltanto tre mesi.
Tra grandi acclamazioni (sincere?) giungeva in città il giovanissimo Fernando arciduca d’Austria, infante di Spagna, arcivescovo di Toledo e figlio di Filippo III. Ma già ripartiva dalla nostra città dopo un solo anno.
Altri personaggi spagnoli furono a capo della città, ma per periodi sempre brevi. Citiamo Gil de Albornoz (dal 1634 al 1635), richiamato presto in patria e definito dagli storici “cattivo amministratore”. Fu poi la volta di un condottiero, Diego Filippo deGuzman, capitano dell’artiglieria spagnola, le cui doti di eccessiva magnanimità nei riguardi dei propri consiglieri male si compensavano con le casse ambrosiane. Venne richiamato a Madrid nel 1636.
Fu poi la volta di Ferdinando Affan de Rivera, già viceré di Napoli, e in seguito del cardinale Teodoro Trivulzi (dal 1637), il quale seppe creare in città soltanto disordini, soprattutto di carattere amministrativo. Susseguentemente, nel 1641, parve che Giovanni Velasco della Cueva, conte di Servela, potesse esercitare con polso la sua carica. Ma i suoi aperti dissidi con il cardinale Trivulzi, sin troppo evidenti, irritarono Madrid. Venne perciò trasferito a Roma due anni dopo, in qualità di ambasciatore, nel luglio del 1643.
Anche Antonio Sanchio Davila, marchese di Velada, durò ben poco tempo: due anni e sei mesi. Lasciò il posto a Bernardino Fernandez de Velasco, il quale, purtroppo, non fece altro che confermare ordini e grida dei suoi predecessori. Restò in carica solo un anno, dal 1646 al 1647.
Insomma, un elenco di personaggi decisamente stinti, i quali, come già accennato, non furono in grado di esercitare saggiamente il loro incarico né tanto meno di fornire alla città impulsi costruttivi di natura economica.