di U.P.
Scoprire il senso della vita. E’ questo che ognuno di noi cerca per tutto il tempo in cui gli viene concesso di esistere. Lo fa per scacciare la paura insopportabile che non esista alla fine alcun significato. Questo è il motivo per cui siamo attratti dalla vita degli altri. Ci piace osservare cosa fanno, come lo fanno. Questo è anche il motivo del grande successo dei “reality”, dove si ha l’illusione di poter osservare la vita senza esserne coinvolti, di poterla valutare, giudicare senza sporcarci le mani. Ma la vita non è facilmente imbrigliabile in un contesto, in un set, in un’isola. E qualche volta, drammaticamente, si vendica come nella recentissima tragedia alla troupe francese.
Per capire la vita, però, c’è anche stato chi ha creduto fosse utile sottoporla a una fredda contabilità, come ha fatto Janina Turck (anonima casalinga polacca morta nel 2000) con i suoi diari, sui quali per tutta una vita ha trascritto, numerandole, tutte le cose che faceva; chi incontrava per strada, quanti “buongiorno” aveva detto, quante colazioni, pranzi, cene aveva consumato, quali programmi aveva visto in tivù, quali regali aveva fatto e ricevuto, quanti libri aveva letto, ecc. In una attività ragionieristica precisa e attenta che teneva nascosta e faceva solo per se stessa, per dare un significato alla sua esistenza.
Daria Deflorian e Antonio Tagliarini portano in scena le angosce di questa donna – chiaramente disturbata, anche se all’apparenza normale – ma dopo un iniziale tentativo di drammatizzazione (la scena della morte della protagonista per infarto e i tentativi degli attori, non privi di umorismo, per quanto nero, di darne una rappresentazione “veritiera”), si limitano a enumerare tutte le esperienze raccolte nei suoi numerosissimi diari, un elenco straniante e opprimente, ripetitivo e monotono, che delinea una quotidianità, almeno da come appare nei diari, priva di qualsiasi sentimento.
Dal punto di vista drammaturgico l’episodio della ricerca da parte della donna di un significato, per così dire tassonomico, della sua vita avrebbe potuto prestarsi a innumerevoli interpretazioni: di tipo psicoanalitico, filosofico, “matematico”, con approcci diversi: dall’ironico al grottesco, al drammatico. Il lavoro di Deflorian e Tagliarini sembra, invece, restare troppo ancorato a singoli episodi, detti più che recitati, e, alla fine, appare come un’operazione sospesa, una provocazione intelligente ma non completamente riuscita.