venerdì, Aprile 19, 2024
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UNA FEMMINISTA DELL’800: LA MILANESE MOZZONI

di Carlo Radollovich

Valida giornalista e pioniera del movimento di emancipazione delle donne italiane, Anna Maria Mozzoni nasce nella nostra città nel 1837 dal matematico Giuseppe Mozzoni e da Delfina Piantanide, una ricca possidente facente parte dell’alta borghesia milanese. Studia presso l’Istituto Cattolico della Guastalla, ma pare che la madre sia tra le prime ispiratrici della sua “apertura”, indirizzandola verso quegli ideali che a quel tempo si proclamavano di “libero pensiero”.

Ancora studentessa si dichiara convinta seguace di Giuseppe Mazzini e sposa una causa che la renderà famosa: la promozione della donna nel contesto sociale. Si batte in effetti con cipiglio e con impegno a favore delle donne, ma al tempo stesso ostenta criticità verso quelle rappresentanti del gentil sesso che mettono in evidenza esagerate competenze di qualsiasi natura.

Nel 1878 è presente, a Parigi, al primo Congresso Internazionale per i Diritti delle Donne, a cui partecipa come rappresentante della società “Operaie di Orientamento Democratico”. In questa sede, con notevole grinta, coprirà di ingiurie e anche di offese colui che ha ispirato la creazione del Codice napoleonico, ovviamente Napoleone stesso, con il titolo “Code civil des francais”.

E a questo proposito spiega: “Esso mantiene le cittadine nella minorità, nella servitù e nella schiavitù (…). La donna è incatenata ad una obbedienza intera che non ha misura”. Più avanti dirà: “Figlio della rivoluzione, questo despota insigne (Napoleone ndr) intende ordinare la famiglia come avrebbe potuto fare di un battaglione. Il marito sacrifica la moglie alla ragione di Stato…”

Priva di qualsiasi timidezza, non ha peli sulla lingua e riferisce con coraggio tutto ciò che pensa, in terra di Francia, con la più palmare delle sincerità. Nel 1885, la Mozzoni evade momentaneamente dal suo consueto tema per scrivere su “Il Messaggero” un’aperta condanna a proposito del maltrattamento carcerario, giudicato inumano, inflitto all’ergastolano Giovanni Passannante, che aveva tentato di uccidere il re Umberto I.

Dopo essersi sposata (1886) con il conte Malatesta Covo Simoni, in perfetta sintonia con le sue battaglie, insisterà sempre di più nel difendere l’emancipazione della donna e si batterà appassionatamente per la concessione del voto alle stesse. A questo proposito scriverà: “Il diritto del voto non è che il diritto della sovranità (…); esso è semplicemente un diritto umano”.

Mai stanca, sempre combattiva, presenta alcune mozioni al Parlamento fondando un movimento che reca il suo nome e cioè la “Lega promotrice degli interessi femminili”. Gli scritti che la femminista ci ha lasciato sono numerose. Ricordiamo tra gli altri “La liberazione della donna”, “Della riforma sociale in favore delle donne”, “La donna e i suoi rapporti sociali”.

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