di R.R. —-
Nel 2020 migliora rispetto al 2000 l’indice globale della Fame nel mondo, ma resta alto l’allarme fame e malnutrizione: 11 paesi registrano livelli di fame allarmanti e 40 paesi appartengono alla categoria grave. Le conseguenze socioeconomiche dell’emergenza Covid-19 potrebbero peggiorare la situazione e vanno ad aggiungersi all’impatto del cambiamento climatico sulla produzione, disponibilità e qualità del cibo e quindi sulla sicurezza alimentare globale.
L’Indice Globale della Fame (Global Hunger Index, GHI) realizzato da Welthungerhilfe e Concern Worldwide e curato da Cesvi per l’edizione italiana, è uno dei principali rapporti internazionali per la misurazione multidimensionale della fame nel mondo. La quindicesima edizione è stata presentata in un incontro digitale moderato dal giornalista di Radio 24 Giampaolo Musumeci, con la partecipazione del geologo e divulgatore scientifico Mario Tozzi, della Presidente Cesvi Gloria Zavatta, della Head of Mission in Kenya e Somalia Cesvi Isabella Garino e della Advocacy Coordinator Cesvi Valeria Emmi.
Cos’è l’indice Globale della Fame
L’Indice Globale della Fame è uno strumento per misurare e monitorare complessivamente la fame a livello mondiale, regionale e nazionale. I punteggi si basano sui valori di quattro indicatori: la denutrizione (la percentuale di popolazione con insufficiente assunzione di calorie), il deperimento infantile (la percentuale di bambini di età inferiore ai cinque anni con peso insufficiente in rapporto all’altezza, indice di sotto nutrizione acuta), l’arresto della crescita infantile (la percentuale di bambini di età inferiore ai cinque anni con altezza insufficiente in rapporto all’età, indice di sotto nutrizione cronica), e la mortalità infantile (il tasso di mortalità tra i bambini di età inferiore ai cinque anni, che riflette parzialmente la fatale combinazione di un’alimentazione insufficiente e di ambienti insalubri). Sulla base dei valori di questi quattro indicatori, l’indice Globale della Fame determina la fame su una scala di 100 punti, dove 0 rappresenta il miglior punteggio possibile (assenza di fame) e 100 il peggiore. Il punteggio di ogni paese è classificato per gravità, da basso a estremamente allarmante.
Secondo le agenzie delle Nazioni Unite, inclusa l’Organizzazione Mondiale della Sanità, e la Banca Mondiale quasi 690 milioni di persone sono denutrite; 144 milioni di bambini soffrono di arresto della crescita e 47 milioni soffrono di deperimento e 5,3 milioni sono morti prima dei cinque anni nel 2018, in molti casi a causa della malnutrizione.
In Africa a sud del Sahara e Asia meridionale la fame è grave, in parte a causa dell’elevata percentuale di persone denutrite e di bambini che soffrono di arresto della crescita.
Al contrario, i livelli di fame in Europa e in Asia centrale, in America Latina e Caraibi, in Asia orientale e Sud-est asiatico, in Asia occidentale e Africa settentrionale sono bassi o moderati, anche se la fame è elevata tra alcuni gruppi all’interno di queste regioni.
Il mondo non è sulla buona strada per raggiungere il secondo Obiettivo di Sviluppo Sostenibile – conosciuto come Fame Zero – entro il 2030. Al ritmo attuale, circa 37 paesi non riusciranno entro quell’anno nemmeno a raggiungere un livello di fame basso nella Scala di Gravità GHI.
Per garantire a tutti il diritto al raggiungimento della Fame Zero, dobbiamo rimodellare i nostri sistemi alimentari per renderli equi, sani, resilienti e rispettosi dell’ambiente, e integrarli in un più ampio sforzo politico per massimizzare la salute degli esseri umani, degli animali e del nostro pianeta.
Quali i possibili rimedi
- Rendere il funzionamento dei sistemi alimentari migliore per le persone e per il pianeta
- Migliorare la governance dei sistemi alimentari nazionali, regionali e mondiali nel rispetto dei diritti umani e della protezione dell’ambiente
- Espandere gli investimenti sociali a favore della resilienza e della protezione sociale dei più vulnerabili (soprattutto donne)
- Rendere più equi e sostenibili gli interventi di emergenza e di sviluppo a lungo termine, preservando gli ecosistemi e rafforzando i meccanismi multilaterali e standard internazionali basati sui diritti umani.
- Rafforzare la cooperazione internazionale e ridurre i disequilibri commerciali, come per esempio le barriere al commercio non tariffarie dei paesi ad alto reddito. Le politiche commerciali dei governi dovrebbero allinearsi agli Obiettivi di sviluppo sostenibile.
Alla base di questi cambiamenti c’è la necessità di riconoscere le interconnessioni tra gli esseri umani, gli animali, le piante e il loro ambiente condiviso, nonché il ruolo di relazioni commerciali più eque, affrontando le varie sfide che ci troviamo di fronte in modo olistico, per evitare future crisi sanitarie, risanare il pianeta e porre fine alla fame.