Davanti alla basilica del Santo protettore di Milano, ci si incanta nell’osservare la sua imponente architettura che si apre nell’omonima piazza, ricalcando uno stile che si ispira al romanico e in particolare al romanico lombardo.
Edificata nel IV secolo, ma completata soltanto nel 1100, veniamo accolti all’ingresso principale dal suo magnifico portale. Molti entrano poi nella basilica per studiare la complessa struttura dell’edificio, le sue sculture, le sue pitture, le opere di restauro compiute.
Notiamo per contro che alcuni visitatori, alquanto frettolosi, si precipitano subito verso il fondo della chiesa per potersi gustare il gran pallio d’oro, realizzato dal monaco Volvinio (detto anche Vuolvino), un esperto e talentuoso orafo.
L’altare nel suo complesso venne commissionato dal vescovo di Milano Angilberto, ed è considerato un vero capolavoro dell’orificeria d’epoca carolingia. Le scene che Volvinio volle raffigurarvi sono da considerarsi del tutto inedite, completamente inventate dallo stesso monaco, non disponendo egli di precedenti elementi iconografici.
Davanti a questa affascinante opera d’arte, osserviamo che alcune maestre elementari, dopo aver spiegato per sommi capi ai loro piccoli allievi il significato di tali scene, si mettono a raccontare certi fatti prodigiosi che hanno accompagnato la vita del Santo.
Si narra che in una fredda mattina del mese di gennaio del 397, mentre il vescovo Ambrogio stava celebrando la messa, fu visto rimanere immobile con uno sguardo del tutto assente per diversi attimi. I chierici che gli stavano accanto, preoccupati, gli chiesero notizie sul suo stato di salute. Lui non si scompose e raccontò che stava seguendo una funzione officiata nella città di Tours dal vescovo Martino (il futuro Santo). Insomma, una sorta di “collegamento” telepatico…
Poi l’avvenimento riguardante la mula, ai cui zoccoli Ambrogio aveva fatto applicare i ferri alla rovescia per far perdere le proprie tracce, nel tentativo di sottrarsi all’elezione a vescovo di Milano. Ma la mula, evidentemente per disegno divino, approfittò che il grande personaggio si fosse addormentato sul suo piccolo carro, per ricondurlo nella nostra città.
E infine l’episodio notissimo riguardante quel ragazzino che, all’assemblea dei votanti, gridò con la sua voce sottile, ma assai nitida: “Ambrogio Vescovo”. Quell’esortazione provocò l’entusiastica, plebiscitaria proclamazione della nomina.