lunedì, Dicembre 23, 2024
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Elisa Mayer Rizzoli, una crocerossina inappuntabile

Nasce nel 1880 a Venezia da una famiglia aristocratica e, dopo aver frequentato il liceo, si propone di raggiungere nobili ideali, tra i quali uno in particolare: poter servire onorevolmente il proprio Paese in occasione di avvenimenti militari e non solo.

Nel 1911, a trentuno anni, decide di indossare per la prima volta il velo e l’uniforme bianca con la croce rossa tessuta sul petto. Sei anni prima si era unità in matrimonio con il notaio Nicola Rizzioli, al quale aveva subito confidato la propria intenzione di essere d’aiuto come infermiera ai nostri soldati, nel tentativo di curare le loro sofferenze fisiche al fronte.

L’occasione le viene offerta dalla guerra per la conquista della Libia e parte per Tripoli assieme ad altre colleghe, dopo il generoso assenso del marito. Dopo una traversata che le procurerà notevoli fastidi allo stomaco, Elisa si distingue subito nel mettersi a disposizione per qualsiasi necessità e annota i servizi svolti, nonché le emozioni vissute, nel suo libro “Accanto agli eroi”.

Poi giunge il triste momento del primo conflitto mondiale e lei organizza il Comitato di Soccorso per le famiglie dei soldati bisognosi e svolge con passione la sua opera di infermiera sui ben conosciuti treni-ospedali della Croce Rossa Italiana.

Terminata la guerra, dirige l’Associazione delle Legionarie di Fiume e della Dalmazia, mentre nel 1920 riceve importanti decorazioni che le riempiranno d’orgoglio il cuore, decorazioni che sottolineano una serie di validi interventi da lei svolti.

Nel 1925 la troviamo come fondatrice e direttrice della rivista “Rassegna Femminile Italiana” ove Elisa sottolinea tra l’altro come la donna possa vantare la stessa disciplina interiore vantata dall’uomo, credendo pure pienamente nell’autonomia decisionale femminile.

Purtroppo, la componente maschilista del Regime nutre diffidenza anche nei riguardi della partecipazione politica della donna e pure l’importanza, che dovrebbe essere attribuita alla sua possibilità di votare, viene totalmente ignorata.

Nel 1929, sulla “Rassegna”, se la prende con le autorità dell’epoca che tendono a ridurre il sesso femminile ad una semplice e incredibile macchina produttrice di figli. Amaramente delusa e frustrata, esce nello stesso anno dal partito avvertendo quelle angosce che denotano il suo forte rammarico. Si spegne a Milano, a soli cinquant’anni, nel giugno del 1930.

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