di Ugo Perugini —-
Prova a metterti davanti all’opera di John Everett Millais “Ofelia”, 1851-52, e aspetta, per capire se senti anche tu il “brivido verde”. Dal 19 giugno, insieme ad altri 80 dipinti, a Palazzo Reale per la Mostra sui Preraffaelliti. Da vedere, anche per gli scettici come me.
E’ una questione di gusti. A me i Preraffaelliti non sono mai piaciuti molto. Spiego perché sperando di riuscire a capirne meglio il motivo e magari a smontare certi pregiudizi che stanno alla base di questa mia opinione.
Dunque, i fondatori di questo movimento nella metà dell’Ottocento, sono sette giovani inglesi, provenienti da diverse estrazioni sociali. Sono contro l’establishment, anticapitalisti e antiimperialisti, che vivono in una Londra in grande trasformazione, più di due milioni di abitanti, fulcro della rivoluzione industriale, una metropoli piena di fabbriche, dove gli operai vengono sfruttati brutalmente. Vivono in un’epoca di grande fermento ideale in tutta Europa, siamo negli anni in cui scoppiano le rivolte popolari, uno di loro Dante Gabriel Rossetti, di origine italiana, proviene addirittura da una famiglia di Carbonari e partecipa al raduno dei cartisti per chiedere riforme democratiche.
Cosa fanno questi sette artisti – che frequentano l’Accademia ma che non ne possono più dell’insegnamento legato alla tradizione dei vecchi maestri – alla continua ricerca di un nuovo realismo, di nuovi valori? Fondano una confraternita, come fosse una corporazione medioevale, e nella loro arte si rifanno agli artisti sperimentali del Trecento e del Quattrocento.
Fu controcultura?
Insomma, per andare contro i canoni dell’arte, costituiti dai colossi come Raffaello, Leonardo, Michelangelo, e contro le convenzioni dell’epoca, tornano al passato, ai pittori cosiddetti “primitivi” e ai poeti medioevali, figure romantiche, apprezzate per il loro modo di interpretare il naturalismo, il simbolismo. Senza peraltro dimenticare poeti, romanzieri e scienziati della loro epoca per costruire una controcultura che si opponesse al pensiero dominante.
Ma lo fanno in modo contraddittorio. Ad esempio, ricorrono all’antica iconografia cristiana (le pale d’altare) per cercare di evidenziare certe tematiche esistenziali e psicologiche che riguardavano problemi della loro epoca pur definendosi atei. Oppure, si dedicano a una ricerca ossessiva dei particolari nei loro quadri (ogni centimetro quadrato dipinto richiedeva ore, se non giorni di lavoro), cercando di usare nuovi pigmenti (il verde smeraldo fu poi abbandonato perché velenoso), quasi per sfidare le grandi potenzialità che già si intuivano nella nuova invenzione della fotografia. Insomma, vedono il loro modo di dipingere come una sorta di “democrazia ottica”(?!), parole del critico (donna) Carol Jacobi, curatrice del British Art.
Il problema dello sfruttamento della classe operaia non è un tema che li affascini più di tanto (è vero rappresentano Gesù, ragazzo di bottega), ma preferiscono agire sui riflessi che questa difficile condizione di vita può generare nella famiglia, nel rapporto uomo/donna, nell’amore tra i giovani, nel desiderio. Riportare il sociale nel privato, indagando quasi in primo piano queste reazioni, con una attenzione, questa sì piuttosto innovatrice per l’epoca, sui diritti della donna, sulla sua istruzione, sulla sua possibile emancipazione.
I Preraffaelliti sono dei post-moderni?
Insomma, sarete d’accordo con me che questi Preraffaelliti potremmo definirli, senza sbagliarci di molto, postmoderni ante litteram. Forse sì, ma, a parte questa considerazione, sarebbe sbagliato considerarli ipocriti. Che credessero nelle loro idee è fuor di dubbio perché restarono fedeli ad esse anche nelle loro scelte di vita. E quando guardiamo un’opera di un preraffaellita ci viene spontaneo definirla romantica.
Qualche esempio: Elizabeth Siddal scelse di lavorare come modella e come artista, diventando la compagna di Dante Gabriel Rossetti (il quale, comunque, aveva un’altra modella come amante) e rinunciando alla prospettiva di un matrimonio rispettabile. Il pittore Brown era vedovo con due figlie da crescere quando conobbe Emma, una ragazza di campagna, e decise di rimanere con lei. Annie Miller, quando Hunt la conobbe, viveva in un pub, guadagnandosi a malapena da vivere.
E’ evidente che molti di loro credevano nell’amore, al di là e al di sopra dei condizionamenti economici e sociali che nell’era capitalista al suo nascere già prendevano forma: matrimoni di comodo, relazioni affettive sempre più precarie per le donne, meno considerate e rispettate dell’uomo. Ma che le loro opere abbiano contribuito a creare una maggiore consapevolezza verso coloro alle quali erano dirette ne dubitiamo. Certo, le loro opere piacciono molto alle donne. Questo è un dato di fatto!
I Preraffaelliti piacciono alle donne
C’è comunque un altro motivo per cui i Preraffaelliti piacciono tanto al gentil sesso: questi artisti erano cultori della bellezza e di quella femminile in particolare. Una bellezza che loro rendevano angelica, ma sempre possibilmente, tormentata. Qualche esempio per capirci: Millais creò una serie di disegni di soggetto contemporaneo sul tema del matrimonio, tre dei quali erano intitolati, rispettivamente, Sposata per la posizione sociale, Sposata per denaro e Sposata per amore. La sua famosa Ofelia immersa nell’acqua fangosa e nel fogliame: il famoso “brivido verde” procurò alla modella, dopo ore di pose, una bella broncopolmonite.
Waterhouse che lavorò su tele molto grandi nella sua Dama di Shalott (1888), dipinge un’eroina che sfida una maledizione che la condanna a morire se lascerà la torre in cui è rinchiusa. La dipinge mentre scioglie una barca dagli ormeggi per andare in cerca di Lancillotto. Hughes in Amore d’aprile (1855-56), raffigura una giovane donna abbandonata dall’amante, nel mezzo di uno scenario naturale. Hunt fu autorizzato ad entrare nella Torre di Londra per dipingere la cupa prigione di Claudio e Isabella, Brown nel suo Ultimo sguardo all’Inghilterra (1864-66) affronta a modo suo il movimento di emigrazione.
Bellezza tormentata della donna che però nella fase successiva del movimento preraffaellita si trasfigura, diventa addirittura una specie di trappola con cui invischiare l’uomo. Pensiamo a Monna Vanna, la donna ispirata alla Vita Nova di Dante, dipinta da Rossetti. Labbra rosse, sguardo fiero, anelli, collane, in una coreografia di costumi, arredi, stoffe, gioielli, davvero sontuosa, esagerata. Qui, prevale l’estetismo, l’“arte per l’arte”, dando risalto alla creatività, alle emozioni e alla sensualità, al di là di considerazioni morali, sociali o d’altra natura. E naufraga così anche la spinta verso idee rivoluzionarie.
Comunque sia, una mostra – organizzata in collaborazione con Tate Britain e con il contributo de Il Sole 24 Ore Cultura – da vedere a Palazzo Reale fino al 6 ottobre prossimo. Per info: palazzorealemilano.it mostrapreraffaelliti.it