giovedì, Aprile 25, 2024
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DISPUTE RELIGIOSE ALL’INIZIO DEL XII SECOLO

di Carlo Radollovich

L’arcivescovo di Milano Pietro Grossolano (eletto nel 1102) aveva iniziato il proprio incarico apparentemente nel migliore dei modi: era umile con la popolazione (vestiva una semplice cappa da eremita), desiderava cercare il dialogo con molti infelici, si dichiarava sempre disponibile a intervenire come pacere in occasione di forti contrasti tra cittadini. Ma dopo un paio di mesi dalla sua elezione, la sua umiltà nei modi d’agire e nel vestire mutò radicalmente.

In effetti, apparve in pubblico con cappe lussuose, portava al collo croci di fattura pregiata e non si faceva mancare cibi delicati e raffinati. Il cronista Landolfo Iuniore (1077 – 1137) ci narra che l’arcivescovo venne pesantemente attaccato da un sacerdote, un certo Liprando, e accusato di aver comprato la carica di prelato ed aver venduto vari privilegi nell’ambito del clero milanese e non solo. Ai primi dell’anno 1103, Grossolano venne apertamente accusato di simonia da parte di Liprando e la città si divise in due grandi fazioni: una a sostegno dell’arcivescovo, l’altra a favore del sacerdote. Quest’ultimo, sostenendo che Grossolano doveva essere sospeso a divinis, si dichiarò pronto ad essere sottoposto al giudizio di Dio, affrontando la prova del fuoco.

Durante la quaresima si preparò a tale prova, offrendo ai poveri tutto ciò che possedeva e mise per iscritto che, qualora l’esito della prova stessa non fosse andata a buon fine, i suoi resti sarebbero stati sepolti in chiesa. I maligni dell’opposta fazione sostennero che Liprando, a seguito di tale disposizione, non era proprio certo di superare positivamente il giudizio di Dio.

In ogni caso, egli digiunò per diversi giorni, indossò un semplice camice e, a piedi nudi, si recò presso la basilica di Sant’Ambrogio. Qui volle celebrare la messa e, poco prima, Grossolano gli si fece incontro pregandolo di rinunciare alla prova e di rendere pubbliche tutte quante le sue accuse, indicando i nomi delle presunte persone che sarebbero state corrotte per ottenere la carica. Liprando rifiutò e, nel corso della funzione, durante l’omelia, accusò l’arcivescovo di volerlo confondere con le sue mille astuzie e di aver addirittura tentato di corrompere alcuni testimoni che deponevano a suo favore.

La folla presente nel tempio, ma anche quella che si trovava al di fuori, fece di tutto per interrompere l’omelia del sacerdote che si stava prolungando oltre misura. Lo chiamarono ripetutamente ad alta voce e lo vollero sul sagrato per poter procedere con la prova del fuoco, mentre Grossolano decise di andarsene da quel luogo. Erano già pronte due alte cataste di legna e, nel corridoio formatosi, si stavano già spargendo tizzoni ardenti. Anche i due mucchi di legna stavano bruciando alla base e andavano trasformandosi in roghi sempre più imponenti. Liprando recitò una preghiera per poi dirigersi tra le due pire di legna.

Tutti, sul sagrato, erano ansiosi di veder spuntare il sacerdote. E infatti, un po’ bruciacchiato, ma vivo e vegeto, riapparve dopo alcuni secondi tra la gente. In molti sostennero che la prova del fuoco non poteva considerarsi del tutto convincente. Resta il fatto che Grossolano venne sospeso dal suo incarico da parte del papa. Ma dopo tre anni, chiarite le numerose vicende in cui Grossolano fu implicato, ritornò nella sua sede milanese per rimanervi ancora sette anni circa. Una nota positiva: da quella volta, a Milano, non vennero più effettuate prove del fuoco. Liprando, dopo vari scontri verbali con il clero e con molti cittadini, rese l’anima a Dio nel 1113.

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