di Stefania Bortolotti
Intervista al Prof. Michele Reibaldi, Clinica Oculistica, Azienda Policlinico-Vittorio Emanuele, Catania
Professor Reibaldi, che cos’è la degenerazione maculare senile?
Si tratta di una patologia che, come dice il nome, colpisce la macula, che è la regione centrale della retina. Si distinguono due forme di malattia. La prima è la forma atrofica, o secca, in cui si manifesta un’atrofia progressiva della retina, dovuta a un processo d’invecchiamento patologico, che rende conto di oltre il 90 per cento dei casi di degenerazione maculare. La seconda è la forma neovascolare, o umida, con un’eziopatogenesi differente: dalla coroide, una lamina del bulbo oculare, si sviluppano nuovi vasi che, nel tentativo di vicariare una sofferenza ischemica, bucano letteralmente la retina. L’esito nei due casi è una compromissione del visus nella parte centrale, e quindi un’ipovisione più o meno grave, che ha un impatto drammatico su molte attività quotidiane. Anche i numeri sono di un certo rilievo: la degenerazione maculare senile è la principale causa d’ipovisione nella fascia di età oltre i 55-60 anni e, secondo le proiezioni, tra poco lo diventerà anche nei Paesi in via di sviluppo, in cui attualmente ha un peso ancora importante la cataratta. Inoltre, si calcola che, con l’invecchiamento della popolazione, tra 20-30 anni potrebbe esserne colpito, con vari livelli di gravità, il 40 per cento della popolazione sopra i 65 anni.
Quali sono i fattori di rischio di questa patologia?
L’unica correlazione sicura è con l’età, anche se alcuni studi hanno evidenziato una serie di alterazioni genetiche che possono conferire al soggetto una predisposizione. L’unico altro fattore di rischio, tra l’altro modificabile, è il fumo di sigaretta: nelle persone che fumano e hanno una predisposizione genetica alla malattia, il rischio di malattia risulta molto aumentato.
E quali sono le terapie mediche per le due forme di malattia?
Mentre per la forma secca della patologia non esistono farmaci, per la forma umida vi sono tre farmaci approvati che appartengono alla categoria degli anti-VEGF: essi agiscono sulla principale proteina che stimola lo sviluppo dei nuovi vasi con l’obiettivo di farli chiudere il prima possibile, cercando di limitare i danni.
Lei è coautore di un recente studio, coordinato dal prof. Teresio Avitabile, attuale segretario della SOI, che dimostra una correlazione tra rischio d’insorgenza e mese e luogo di nascita. Com’è nato questo studio e come si è svolto?
L’idea iniziale era quella di verificare se esistessero altri fattori di rischio della malattia su cui fosse possibile intervenire con una prevenzione primaria. Per altri tipi di malattia, è emersa una correlazione con il periodo di nascita dei soggetti: così abbiamo pensato di verificare se valesse una correlazione simile anche per la degenerazione maculare, sfruttando il fatto che l’AIFA monitora la somministrazione di farmaci per la forma umida della malattia. Abbiamo pertanto chiesto all’Agenzia di fornirci un database dettagliato riguardante date e luoghi di nascita di tutta la popolazione italiana di età superiore a 70 anni che fa uso di questi farmaci. Il gruppo di controllo era rappresentato da oltre un milione di persone sane nate nello stesso periodo.
E quali sono stati i risultati?
Dal confronto dei dati relativi alla popolazione malata con quelli della popolazione sana, è emerso un differente rischio di malattia legato non tanto al mese di nascita, ma piuttosto alla stagione: le persone nate nel periodo estivo hanno un rischio maggiore rispetto alla popolazione generale, mentre quelle nate nel periodo invernale hanno un rischio inferiore: la differenza è dell’ordine del 3-4 per cento, e la correlazione è particolarmente forte nelle donne, probabilmente a causa di fattori genetici e ormonali.
Avete anche formulato delle ipotesi sui possibili fattori che sono alla base di questa correlazione?
Premesso che si tratta di una speculazione, perché ovviamente lo studio non può fornire indicazioni a riguardo, riteniamo che il fattore più importante sia la vitamina D, la cui sintesi cutanea, com’è noto, è legata all’esposizione al sole, che a sua volta dipende dalla stagione.
Il risultato è quindi coerente con quello di altri studi che correlano i livelli di vitamina D con il rischio di malattia?
Direi di sì, anche se gli studi condotti finora studi avevano lo scopo di verificare un’eventuale influenza della vitamina D, assunta o sintetizzata dalla pelle per l’esposizione solare, durante la vita del soggetto: nel nostro caso invece il risultato indica che l’esposizione solare della madre dei soggetti nei primi mesi di gestazione può influenzare il rischio d’insorgenza della degenerazione maculare circa 60 anni dopo. Si tratta di un concetto molto forte e molto suggestivo, che merita ulteriori studi e solleva un quesito fondamentale: possiamo fare qualcosa in quei mesi in termini di prevenzione? Chiaramente si tratta di una questione aperta, a cui non è facile dare risposta.
Professore, il tipo di correlazione con il mese o la stagione di nascita del soggetto si riscontra in altre patologie, anche al di fuori del campo oculistico?
Sì, diverse patologie tra cui il diabete di tipo 1, la sclerosi multipla e l’artrite reumatoide – quindi malattie di tipo autoimmune – hanno evidenziato un’associazione abbastanza simile. Teniamo presente che anche nella degenerazione maculare senile l’autoimmunità ha un ruolo rilevante, e che molti studi hanno sottolineato che il primo trimestre di gravidanza è il più importante per la formazione del sistema immunitario.