di Remo Righi
Due settimane fa a Report, la trasmissione di Rai Tre della Gabanelli, si è parlato di TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership). Molti dei nostri politici ai quali è stato chiesto di cosa si trattasse non hanno saputo rispondere. In effetti, in Italia si sa ancora poco anche se il tema è delicatissimo perché riguarda l’accordo commerciale tra Unione Europea e Stati uniti per rimuovere le barriere commerciali, tariffarie e non, in un gran numero di settori economici.
Lo scopo è quello di facilitare l’acquisto e la vendita di beni e servizi tra Europa e Usa ma, come vedremo, l’argomento è estremamente delicato e va affrontato senza prese di posizione polemiche o preconcette, anche perché i negoziati che costituiranno l’accordo non sono ancora entrati nel vivo e passerà del tempo prima che si arrivi a un accordo finale. Qualcuno ipotizza che ciò potrà accadere nella seconda metà del 2016.
Prima ci aspettano l’entrata in carica della nuova commissione europea, il rinnovo del Senato americano (4 novembre) e la campagna elettorale per la scelta del nuovo Presidente Usa. Perché, allora, parlarne adesso? Perché i temi in ballo sono molto delicati, soprattutto per quanto riguarda la struttura produttiva italiana. Anche se qualche “distiguo” è già stato fatto: nel negoziato, ad esempio, che non dovrebbero entrare gli OGM, le misure al sostegno culturale, il livello dei diritti dei lavoratori e delle regole ambientali, la gestione dei beni pubblici.
Vediamo allora quali sarebbero i temi sui quali potrà operare il mandato:
– La riduzione a zero delle barriere tariffarie
– L’allineamento delle regolamentazioni tecniche (per fare un esempio, il crash test per le auto)
– L’apertura del mercato degli appalti pubblici superando il Buy American Act che oggi protegge le imprese americane
– La promozione di uno sviluppo sostenibile
– Il sostegno alle piccole e medie imprese che non riescono ad affrontare il mercato internazionale
– La creazione di un mercato unico dell’energia.
Come vedete, ci sono dentro il mandato cose molto positive anche per il nostro Paese, soprattutto sul tema dell’esportazione, ma c’è anche un aspetto estremamente delicato che riguarda le barriere non tariffarie in materia di produzione agricola. Il trattato, infatti, potrebbe favorire un’azione tendente a ridurre gli standard qualitativi dei nostri prodotti alimentari, eliminando il riconoscimento delle indicazioni geografiche di provenienza, che faciliterebbe l’invasione di prodotti “copiati” targati Usa. Le conseguenze sarebbero gravi: una concorrenza spietata ai prodotti nostrani con scarsissime garanzie dal punto di vista dei controlli di qualità che verrebbero automaticamente abbassati. Occhi aperti, quindi, e attenzione massima da parte di chi ha il compito di redigere e poi firmare questo accordo.