di Ugo Perugini —-
Corpus Christi è un film candidato agli Oscar 2020 come miglior film internazionale per la Polonia. E’ diretto da Jan Komasa e avrebbe dovuto essere nelle sale italiane a partire da giovedì prossimo 29 ottobre distribuito da Wanted Cinema. (Causa Covid è stato rimandato a data da destinarsi). Il film è stato presentato al Festival di Venezia nelle Giornate degli Autori e vede come protagonista Bartosz Bielenia, un attore che sa dare spessore a un personaggio particolarmente complesso.
Questo è un film che lascia il segno. E che dovrebbero vedere tutti, credenti e atei. Ma, soprattutto, quella folta schiera di cattolici “della domenica”, o “all’acqua di rose”, come ha detto qualche tempo fa Papa Francesco, che frequentano la messa più per abitudine che per vera convinzione. Che accettano i dogmi morali quando fa loro comodo, che hanno una visione superficiale della religione, come qualcosa di scialbo e insignificante che non richiede impegno o sacrificio.
La storia è semplice e, per di più, sembra si rifaccia a fatti realmente avvenuti. Daniel è un giovane problematico. Ha ucciso un uomo e lavora in una segheria in libertà vigilata. Vorrebbe farsi prete ma, a causa dei suoi precedenti penali, non gli è possibile. A un certo punto della sua vita, si ritrova in un piccolo paese e qui per una serie di circostanze viene creduto prete e sostituisce il parroco momentaneamente malato, mostrando una grande umanità.
Daniel si immedesima nel suo ruolo e prende il suo compito con serietà, finché non verrà scoperto. Le sue prediche semplici ma dirette coinvolgeranno la comunità e, grazie al suo impegno, sarà in grado di portare la pace tra gli abitanti del paese, dopo un grave incidente automobilistico. Un frontale tra due automezzi, infatti, ha causato la morte di sei giovani del paese che tornavano da una festa, si presume per colpa di un altro guidatore, anche lui deceduto, subito additato come unico colpevole della tragedia.
L’intera comunità cova un odio sordo nei confronti di questo uomo fino a negargli una degna sepoltura e insieme a lui mette al bando anche la sua vedova contro la quale si riversa l’astio e il rancore anche attraverso odiose lettere anonime. Nel film non è chiaro se l’incidente sia stato causato dall’uomo o dagli stessi giovani, forse drogati. Ma questo non è importante.
Daniel cercherà di far capire alla gente che compito dei credenti è sempre e comunque quello di perdonare che non significa dimenticare, come non sia successo niente, ma amare, nonostante le colpe dell’altro. Cosa non facile e che richiede un sacrificio pesante ma che ci libera anche dall’odio che è l’arma del diavolo (l’etimologia della parola significa “colui che divide”).
Bella anche la scena con il padrone della segheria, arrogante e presuntuoso, che l’ha chiamato per benedire la nuova ala della sua fabbrica. Daniel inventerà una preghiera che gli viene dal cuore ma che ha un significato importante: “Oggi vogliamo confessare di essere malati di avidità. Dobbiamo avere di più, più soldi, più vestiti, più auto, più persone da comandare. Per questo, Signore, ci inginocchiamo davanti a te senza vergognarci di essere piccoli”. E fa inginocchiare tutti, compreso il padrone vestito con l’abito della festa, nel fango del piazzale.
Naturalmente, Daniel non solo verrà scoperto ma tornerà alla sua vita di reietto. E la Chiesa avrà perso un’altra occasione. E’ l’eterno conflitto tra chiesa intesa come potere precostituito, e chiesa intesa come umile dedizione agli altri, ai più umili, per dare forza e speranza. Ma, sono argomenti che come laico non mi competono…