di Carlo Radollovich
Prima della pace di Lodi del 1454, anno in cui Francesco Sforza riconobbe che i confini milanesi con Venezia si intendevano delimitati dal fiume Adda, si intrecciavano numerose leggende che avevano come sfondo proprio la Serenissima.
Assai curiosa quella relativa al piano d’attacco che i veneziani, assieme al loro Doge, avrebbero organizzato contro la fiorente città di Milano, con l’intenzione di impossessarsi di molte delle sue ricchezze.
Il piano, studiato accuratamente nei particolari, prevedeva anzitutto un graduale avvicinamento delle truppe sotto le mura ambrosiane. Inoltre, venne programmato che i soldati dovessero marciare nel più assoluto silenzio, a scaglioni. Poco prima dell’alba di un giorno di seicento anni fa, tutto era pronto per l’attacco: mancava infatti soltanto un segnale per iniziare l’invasione della città. Tuttavia, uno strano rumore, dall’interno, insospettì le vedette veneziane. In effetti, si sentiva in lontananza un insolito battere e ribattere proveniente dalla città, molto simile al rullare dei tamburi.
Un affiorante timore si impossessò subito delle vedette stesse, le quali riferirono ai loro capi di quanto udito e che aveva destato in loro più di un sospetto. Che i milanesi, per merito di qualche spia, avessero intuito le intenzioni nemiche? Per la verità, i veneziani non potevano sapere che, nei pressi delle mura, si trovavano una decina di panettieri che, preparando il pane nei loro negozi come ogni mattino prima dell’alba, battevano e ribattevano gli impasti sui loro tavolacci. Fatto sta che l’esercito veneziano, più che dubbioso, sospese momentaneamente l’attacco e inviò in avanscoperta diversi drappelli di uomini i quali, evidentemente, non marciarono così silenziosi come i loro commilitoni durante le operazioni di avvicinamento a Milano. Questa volta furono i panettieri ad avvertire rumori sospetti e alcuni di loro, saliti sulla sommità della mura, si accorsero che numerosi soldati nemici erano nascosti nell’ombra.
Diedero subito l’allarme e tutti i milanesi scesero armati per le strade. Combatterono strenuamente contro il nemico e respinsero ogni attacco. I veneziani, nel fuggire in modo poco onorevole, abbandonarono sul campo le loro insegne e addirittura un leone in pietra, simile a quello di cui Venezia va sempre fiera e che è osservabile in piazza San Marco. Inutile aggiungere che il leone abbandonato venne considerato bottino di guerra e che oggi fa ancora bella mostra di sé in piazza San Babila.