di Ugo Perugini
Da visitare presso la Galleria Art Studio 38 di via Canonica 38 fino al 28 febbraio.
La versatilità manuale e artistica di Silvia Cibaldi ci pone di fronte a una sfida: le sue opere, dai quadri alle sculture, dalle stoffe, ai gioielli, dagli abiti ai kimono, agli scialli, affascinano perché sono in grado di spiazzare chiunque tenti di darne una definizione univoca. Questa è anche la loro forza.
Ci fanno capire che non c’è un’unica via maestra dell’esperienza artistica. La vena creativa non passa solo attraverso le arti figurative ma anche attraverso la realizzazione di manufatti artigianali che, sotto mani abili ed esperte, diventano terreno vitale di sperimentazione artistica. Come ha ben spiegato Simona Bartolena nella sua puntuale presentazione critica.
Cibaldi, nel contempo, porta avanti la propria critica al consumo di massa, alla sua ripetitività logora, caricando di significati nuovi e inattesi le opere che realizza, facendo passare quasi in secondo piano la loro anima utilitaristica e potenziando, al contrario, dietro un lungo e attento lavoro di decorazione – che è arricchimento, preziosismo, non fine a se stesso ma carico di significati anche simbolici – la loro valenza comunicativa ed espressiva.
Se, nonostante queste premesse, volessimo comunque fornire una chiave interpretativa, potremmo dire che le opere della Cibaldi richiamano per alcuni aspetti la Transavanguardia, la Pop Art, l’Arte Povera, considerato il ritorno alla manualità, alla riscoperta delle radici locali, popolari, al riciclo, come l’uso di materiali comuni carta, rete metallica, stoffa, fili, tessiture, abiti dismessi, con un’impronta, in certi casi, anche vagamente surrealista.
Altro aspetto da non trascurare, sono i rapporti e le connotazioni tra moda e arte nei lavori della Cibaldi, che sono davvero molte. Possiamo dire che l’arte e la moda, pur percorrendo strade simili quanto a strategie e ricerca ossessiva dell’originalità, restano pur sempre campi distinti anche se sempre meno distinguibili. Oggi, non a caso, si parla di fringe art, cioè di arte di confine.
Pensiamo anche a quello che alcuni critici chiamano trashion (un neologismo che fonde i termini trash con fashion) individuando in questo movimento alcuni artisti che riescono a cogliere nel riciclo di materiali, nel riuso quasi provocatorio di essi, nell’assemblaggio, persino dissacratorio, di elementi diversi e contrastanti, risultati esteticamente molto apprezzabili.
I lavori della Cibaldi possono rientrare a pieno titolo in questi settori ma ci starebbero comunque stretti. L’artista nella sua ricerca va oltre. Altre strade si sente di percorrere perché obbedisce anche a idealità più profonde: l’attenzione all’universo femminile, il rispetto della natura, indomita e selvaggia, la ricerca di una profonda spiritualità, il significato della cultura trasposta in simboli, richiami ancestrali, suggestioni legate alle tradizioni più antiche.
Insomma, l’arte cacciata dalla porta rientra prepotentemente dalla finestra. Non ne possiamo fare a meno. Si occulta, talora, come nelle donne albero, nelle stoffe maculate, negli ornamenti orientaleggianti, nei kimono magnificenti dai colori infuocati, o negli inquietanti busti di donna; si veste con gli scialli, con i kimono frutto di paziente lavoro di ricamo, e siede con aria nobile sui piccoli troni quotidiani che la Cibaldi ha realizzato, reinterpretando con la sua fantasia creatrice umili sedie, per farci sentire tutti un po’ re e regine…