venerdì, Marzo 29, 2024
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ANNI VERDI A MILANO PER ALBERT EINSTEIN

di Carlo Radollovich

Iniziamo con un aneddoto, riguardante il grande scienziato alla vigilia dell’enunciazione di quella complessa teoria scientifica che forse risulta essere la più importante del Novecento.

Tutto ebbe inizio con un suo autoisolamento di quindici giorni, rinchiuso in camera. Inutilmente la moglie gli chiedeva spiegazioni su questo comportamento e gli domandava perché richiudesse rumorosamente la porta dietro di sé dopo aver consumato i consueti due pasti al giorno. Finalmente, trascorse due settimane di completa clausura, eccolo ricomparire, pallido come un cencio, mentre appoggiava una nutrita serie di fogli sul tavolo della sala. Disse semplicemente a sua moglie:”Ecco quanto ho elaborato”. Si trattava del suo più lungo e completo studio sulla teoria della relatività.

Probabilmente non tutti sono a conoscenza che Einstein, nel corso della sua giovinezza, trascorse diverso tempo in Italia, dapprima a Pavia e poi a Milano. Nato nel 1879, si trasferì con i suoi sulle rive del Ticino nel 1893 (in una bellissima casa appartenuta niente meno che a Ugo Foscolo) poiché il padre Hermann, unitamente al fratello Jakob, aveva fondato un’azienda elettrotecnica che si proponeva di costruire in loco una centrale idroelettrica.

Malgrado il giovane Albert risentisse delle difficoltà economiche incontrate dal padre, in Italia si sentì rifiorire dentro, finalmente lontano da certe grige mentalità tedesche che lo avevano sin troppo condizionato. Un’unica lamentela: ai suoi occhi, Pavia e dintorni avevano un aspetto più sporco rispetto a Monaco di Baviera, città in cui aveva risieduto. Ma ecco che i timori di un insuccesso da parte dell’azienda paterna, si confermarono ben presto.

Nel 1896, il diciassettenne Albert e la sua famiglia si trasferirono a Milano. Egli si iscrisse al Politecnico di Zurigo e faceva la spola tra la città elvetica e Milano. Qui ci aveva lasciato il cuore e nella casa di via Bigli si trovava sempre a suo agio. Quante volte, sempre assolto nei suoi pensieri di studioso, percorreva più volte, quasi freneticamente, il tratto di strada fra piazza della Scala e piazza del Duomo.

La madre lo osservava mentre rientrava a casa: assolutamente mai imbronciato, e mentre commentava con le amiche il simpatico modo di sorridere del figlio, accennava a quella sua interna euforia che non gli consentiva mai di lasciare nella custodia il suo violino, strumento musicale che aveva iniziato a studiare sin da piccolo. Quando nel 1901 egli terminò i propri studi al Politecnico di Zurigo, egli decise di trasferirsi definitivamente in Italia.

Dopo alcune tribolazioni riguardanti la fidanzata di origini serbe conosciuta in Svizzera (che la madre non finì mai di contestargli), il nostro Albert avviò approfonditi studi proprio a Milano sulle “onde di luci” e sugli elettroni, considerando il loro ruolo svolto sulla materia, sul calore e sulla radiazione.

Ma la sua avventura italiana stava purtroppo per concludersi. Il 10 ottobre 1902 venne chiamato con urgenza al capezzale del padre, ormai morente e assillato da debiti sino alla fine. E da quel momento Einstein inseguì con la massima volontà il suo destino, vinse il Nobel e divenne uno dei più celebri fisici del suo tempo. Ma nel profondo del suo animo non dimenticava mai Milano, memore dei suoi anni più felici.

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