martedì, Aprile 23, 2024
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Angelo Guglielmi, l’avventura dell’avanguardia

Alla Triennale di Milano è stata ricordata la figura di Angelo Guglielmi, scrittore, critico, regista, direttore di Rai3 e tra i fondatori del Gruppo ’63. La sua ultima intervista, prima della scomparsa avvenuta l’11 luglio dello scorso anno, è quella rilasciata al giornalista Carmelo Caruso da cui è scaturito il libro “L’avanguardia in bermuda. La formidabile avventura del Gruppo ‘63”, Aragno Editore.

In questo libro si parla poco della sua esperienza televisiva, mentre l’attenzione si fissa sul fenomeno letterario della “neoavanguardia”, che riuniva “una piccola ganga di scrittori sperimentali” (tra i quali, oltre allo stesso Guglielmi, Umberto Eco, Nanni Balestrini, Alberto Arbasino, Giorgio Manganelli, Edoardo Sanguineti, Renato Barilli) e che prenderà appunto il nome di “Gruppo ’63.

Stanchi dei “vecchi tromboni” che scrivevano sulla terza pagina del Corriere della Sera, questa pattuglia di contestatori si opponeva, in nome di Carlo Emilio Gadda, al romanzo neorealista, ancora di stampo ottocentesco, che si reggeva sul racconto a trama, e si proponeva, al contrario, con qualche velleità, di “incendiare la letteratura italiana”, disprezzando la lingua antica e sperimentando nuove modalità espressive.

Ma, considerando anche l’ironia del titolo del libro “L’avanguardia in bermuda” (i fondatori del gruppo si erano ritrovati in estate cinque giorni nell’assolata Palermo), più che di rivoluzione letteraria si può parlare di un gioco intellettuale, che partiva dall’esigenza autentica di interpretare la nuova realtà sociale, rifiutando gli stilemi e le forme tradizionali di una cultura borghese e facendo qualche vittima illustre, con le loro stroncature, come Cassola, Tomasi di Lampedusa, Bassani, Buzzati, Montale, Cecchi e altri.

Quella specie di comune, in grado di unire scrittori, poeti, critici, architetti, artisti, musicisti, è combattiva e polemica, anche al suo interno (deliziosa l’uscita di Guglielmi sul linguaggio di Arbasino “Sa un po’ di merda, come capita alla più raffinata cucina francese”). Ma i toni si stemperano ben presto e le polemiche svaniscono di fronte alla necessità prevalente di sprovincializzare il paese.

Nel libro questo movimento letterario viene definito, come abbiamo visto, “un incendio che per una manciata di anni ha seminato il panico nel mondo della letteratura”. Lo stesso Guglielmi ammetteva però: “Eravamo degli sprovveduti? Per niente. Avevamo ragione? Assolutamente sì. Abbiamo avuto fortuna? Mah. Il successo di pubblico non pensavamo di pretenderlo. Non si può insomma dire che la nostra piccola rivoluzione sia stata piccola.”

Probabilmente fu così, ma fu sufficiente il “tradimento” di Umberto Eco che con il suo romanzo “Il nome della rosa”, rinnegava palesemente i principi che avevano animato all’origine il Gruppo ’63, a rimettere tutto in discussione. Anche se questo fatto non scalfì l’amicizia tra Eco e Guglielmi, seppure qualcuno del Gruppo, come Sanguineti, continuava a rifiutarsi di leggere il suo libro.

Carlo Guglielmi, figlio di Angelo, presente alla Triennale, ricorda che il padre fu sempre animato da spirito libero e critico, anche quando faceva parte dell’establishment. Nella sua breve esperienza di assessore alla cultura a Bologna, minacciò le dimissioni, quando la curia impedì a  Umberto Eco, che aveva appena scritto l’altro suo famoso romanzo “Il pendolo di Foucault”, di tenere una lezione in San Petronio. Non amava il potere, nelle diverse forme in cui si manifestava, e soleva dire a questo proposito che “si può (e si deve) criticare il potere solo a condizione che si sia disposti a perderlo”.

Guglielmi era alla ricerca della autenticità e uno dei mezzi per ottenerla era l’improvvisazione. Quando divenne Direttore di Rai3, superato il periodo della TV educativa alla Bernabei, si rese conto che questo mezzo di comunicazione non doveva essere “il nastro trasportatore di generi di altre discipline”, ma avere un suo proprio linguaggio, più diretto, autonomo, legato alla gente e nelle trasmissioni che realizzò, fece ampio uso della diretta.

Guglielmi non si preoccupava degli eventuali insuccessi, anche se disastrosi, perché l’importante era sperimentare, essere disposti a rischiare. In realtà, in lui convivevano la curiosità, la generosità del giovane, la conoscenza del grande intellettuale e la necessità dell’agire per la cultura, intesa non come uno cosa statica “ma un modo di fare le cose”.

la sigla di Blob

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