In corso Sempione 60 c’è una targa che ricorda un grande pilota automobilistico del passato, Alberto Ascari. Un mito per le sue vittorie. Come scritto sulla targa fu campione del mondo per due anni consecutivi nel 1952 e nel 1953. Ma vinse anche la Mille Miglia del 1954. La passione per la velocità era una tradizione di famiglia. Anche il padre Antonio era stato un pilota e gli aveva trasmesso quella voglia.
Alberto cominciò con le moto, anche se la madre aveva fatto di tutto per dissuaderlo, visto che il marito Antonio era morto a 37 anni in una gara sul circuito francese di Monthléry. Ma fu impossibile. La passione di Alberto era troppo forte e in breve seguì le orme del padre e si mise a guidare le auto. Nel 1940 è al volante di una Ferrari nella Mille Miglia ma senza fortuna. Oltre ai bolidi di Maranello, Ascari guiderà anche la Maserati e la Lancia. Il suo grande rivale sarà un altro grande pilota mai dimenticato, lo spagnolo Manuel Fangio. Mitiche furono le loro sfide.
Qui vorremmo ricordare le ultime ore di vita di Alberto Ascari. Era una bella giornata di maggio nell’anno 1955. Alberto era nella sua casa in corso Sempione 60. Era reduce da un terribile incidente a Montecarlo. Era finito in mare con la sua auto ma se l’era cavata senza un graffio. Suonò il telefono. Erano i suoi più cari amici (piloti famosi anche loro) Gigi Villoresi e Eugenio Castellotti: “Che ne dici di venire con noi a Monza a provare una nuova auto, una Ferrari 750 Sport?”. Cosa avrebbe potuto rispondere Alberto? Accettò entusiasta e vestito di tutto punto, giacca e cravatta, seguì gli amici.
Avrebbe fatto due /tre giri di prova, non di più. Non era il caso di indossare il suo casco preferito. Per scaramanzia portava sempre quello azzurro che faceva pendant con la maglietta, azzurra anche quella. Eh sì, Alberto aveva dei riti scaramantici che ripeteva prima di ogni gara, come i due regali, un portachiavi e una catenina, ricevuti in dono dai figli che si teneva in tasca. Ma quella non era mica una gara. Il casco glielo prestò Castellotti e lui cominciò a guidare l’auto, spingendo come sua abitudine al massimo sull’acceleratore.
Ma al terzo giro, affrontando la curva che da allora prese il suo nome, prima si chiamava curva del Vialone, Alberto perse il controllo dell’auto che si capovolse e andò a schiantarsi. Fu soccorso immediatamente e portato all’ospedale San Gerardo di Monza ma non ci fu nulla da fare. Non si conoscono le cause di questo incredibile incidente. Qualcuno pensò che il pilota avesse cercato di evitare una persona che si trovava sulla pista ma questa ipotesi sembra sia priva di fondamento.
Alberto morì a 37 anni d’età come il padre Antonio.