di Carlo Radollovich
Nasce a Guastalla, oggi in provincia di Reggio Emilia, da famiglia nobile.
Cresciuta e vissuta in un ambiente profondamente religioso, si sposa poco dopo aver compiuto vent’anni e a ventinove rimane vedova. Da quel momento esprime il vivo desiderio di prodigarsi per il prossimo, elargendo diverse sostanze a favore di famiglie povere.
Ma siamo soltanto agli inizi della sua opera benefattrice, di stampo assai particolare. Sotto la spinta morale del teologo Battista da Crema, la contessa Torelli decide di vendere il feudo di Guastalla a don Ferrante Gonzaga allora governatore di Milano con un preciso intento: fondare un monastero nella nostra città con i fondi ricavati dalla vendita del feudo.
Giunge a Milano agli inizi del 1530 in compagnia di uno dei suoi più stretti collaboratori: Antonio Maria Zaccaria, futuro fondatore dell’ordine dei Barnabiti.
Nel 1535 acquista la casa di don Matteo Quattromarie, situata tra il Naviglio e le nuove mura bastionate, e qui inizia ad ospitare, in ambito non claustrale, ragazze milanesi di nobile stirpe, ma decadute. Predispone per loro un abbigliamento del tutto particolare e singolare: vesti bianche, accompagnate da un manto color turchino, con in capo una reticella bianca.
Paola Ludovica Torelli stabilisce al tempo stesso che in nessun caso si debba forzare la volontà delle educande: devono sentirsi assolutamente libere, potendo scegliere di volersi col tempo maritare o, per contro, optare per la severa disciplina del chiostro. Considerati i tempi, ove l’autorità paterna vige sovrana e onnipotente, la regola prefissata dalla contessa rappresenta un atto che sicuramente sfiora la rivoluzionarietà.
Altri signori (potremmo aggiungervi l’arcivescovo Carlo Borromeo, fondatore a Pavia di un collegio per studenti universitari poveri, ma nobili) hanno una grande preoccupazione: quella di salvare dalla rovina la piccola nobiltà, la quale, sotto il peso di gravi crisi economiche causate tra l’altro da continue guerre, minaccia di scomparire nella miseria più assoluta. Salvarla significa soprattutto salvaguardare un inestimabile patrimonio di vasta cultura.
Questo è il compito a cui si è dedicata la contessa Torelli, ossia quello di essere venuta incontro alle persone appartenenti alla piccola nobiltà, intellettualmente ben impostate e preparate, forse gli antenati di quella classe successivamente classificata come borghesia.
Quando muore nel 1569, in pace con il mondo intero, viene riconosciuta tutta la sua grande disponibilità e le sue nobili intenzioni.
Ma faremmo un torto alla contessa Torelli se non ricordassimo brevemente gli antichi giardini della Guastalla, affacciati su via Francesco Sforza e situati di fronte all’Università statale: piccolo (12mila metri quadrati), ma artisticamente ben incorniciato, ospita una vasca peschiera seicentesca, barocca, un’edicola della stessa epoca contenente un gruppo di statue in terracotta e un tempio di ridotte dimensioni, neoclassico, del Cagnola.