sabato, Novembre 23, 2024
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CRESCERE O NON CRESCERE? E’ IL DILEMMA. DECRESCERE FORSE

di U.P.

Sulla crescita sembra che puntino tutti. Imprenditori, ma anche sindacati e, naturalmente, i politici. A cominciare dal nostro Presidente del Consiglio che, in modo enfatico, ha affermato recentemente: la decrescita è felice solo per chi non ha visto chiudere le aziende.

Ma quella di cui parla Renzi non è decrescita, bensì recessione. O meglio ancora, crisi del sistema che, nonostante si continui a dire che prima o poi finirà, invece tende ad aggravarsi. Perché allora sparare su un’idea, quella di decrescita, che ha naturalmente parecchi limiti ma che non può essere semplicisticamente assimilata a un fenomeno endemico del sistema quale la recessione?

C’è un po’ di ignoranza o malafede. La decrescita, secondo quello che dice Pallante, uno dei sostenitori di questa teoria, è “la riduzione controllata e guidata della produzione di merci che non servono a nulla o, peggio ancora, creano danni”. Tra le idee concrete e condivisibili della decrescita ci sono quelle, ad esempio, di favorire le ristrutturazioni edilizie che fanno risparmiare energia invece che cementificare ancora, di riciclare invece che consumare risorse naturali, ecc.

In sintesi, il progresso per chi crede nelle decrescita non consiste nel produrre sempre di più, ma nel produrre bene, nella capacità di sviluppare tecnologie più evolute che consentono di accrescere l’ efficienza dei processi produttivi, cioè di ridurre progressivamente il consumo di materie prime e l’ impatto ambientale dei processi produttivi.

Latouche, che di questa teoria è il massimo esponente, dal punto di vista teorico, constata che la società moderna è basata sulla dismisura, sulla distruzione sociale e ambientale, sul calcolo economico e l’accumulazione di capitale; ne conseguono concorrenza spietata, disuguaglianze, saccheggio della natura, mercificazione del mondo. Anche queste affermazioni possono risultare spiacevoli ma sono la verità.

La teoria della decrescita, però, non sempre è convincente. In astratto può sembrare affascinante perché di fatto propone soluzioni intelligenti e condivisibili, come la salvezza del pianeta, il lavoro per tutti, un ritorno a un rapporto più corretto con la natura, l’uscita da un mercato fondato sulla finanza e via dicendo. Però, non ci sembra che venga proposto un programma politico serio: che dovrebbe comprendere un bilancio con costi e sacrifici, ricavi e perdite,  e magari qualche obiettivo ideale come la ricerca di una maggiore uguaglianza, almeno tendenziale, tra le persone. Un dato solo su questo tema: gli 85 uomini più ricchi al mondo  guadagnano come i 3 miliardi e mezzo di uomini più poveri. E il divario tra ricchi e poveri si aggrava di anno in anno. Altro aspetto di chi sostiene questa teoria della decrescita che convince poco è una certa prevenzione nei confronti della scienza e della tecnologia, e il vagheggiamento, in certi casi, un po’ acritico di un ritorno alla natura.

Il tema è complesso. Il premier Renzi su questo argomento ha anche sostenuto che “La decrescita è felice solo per chi non ha mai visto in faccia un cassintegrato, non ha mai visto un imprenditore andare in banca e vedersi respingere una richiesta di fido, non ha sentito lo strano odore di una fabbrica chiusa”. A parte l’equivoco già segnalato sopra, vorremmo far soffermare il Presidente del Consiglio sul fatto che anche noi sentiamo uno strano odore: è quello che passa per le strade della capitale, dopo tutto quello che sta emergendo di scandaloso, e con una logica “super partes” piuttosto inquietante, che ha bruciato risorse e speranze dei cittadini onesti.

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