L’ondata di peste, sviluppatasi a Milano con incredibile rapidità, stava mietendo vittime in numero sempre maggiore. Alla base di questo sterminio ci fu, tra gli altri fattori, la quasi assenza di norme igieniche e pure la denutrizione, a seguito di una carestia che in quegli anni non voleva mollare la presa.
L’epidemia causava persino la morte in strada di molte persone, gente che si accasciava per terra in preda a lancinanti dolori, puntualmente prelevata dopo la morte da uomini immuni (i cosiddetti monatti), per poi essere depredata di eventuali catenine d’oro e di altri pochi preziosi e infine gettata nelle fosse comuni.
Coloro che possedevano ancora la forza di reggersi in piedi, si recavano al Lazzaretto, costruzione ancora oggi visibile, in ridottissima parte, in via San Gregorio. Gli infermieri, in questo speciale ricovero per appestati, dispensavano unguenti e impiastri vari, assolutamente privi di qualsiasi validità farmacologica.
Molte persone iniziavano a credere che, alla base della tragica malattia, potesse esserci uno sconosciuto sortilegio o addirittura un maleficio provocato da qualcuno.
Venne ad esempio arrestato un timido barbiere, un certo Giacomo Mora, che nella sua bottega disponeva di diverse creme, da applicare sulle guance dei clienti dopo rasatura, ove necessario. Sospettato subito di ungere maniglie, porte e ingressi vari con tali sostanze, ritenute venefiche, fu condannato a morte.
La stessa sorte capito’ al commissario alla Sanità Guglielmo Piazza. Ma come fu possibile mandare a morte questo personaggio ritenuto importante ? Determinanti furono le testimonianze di una certa Caterina Truccazzani, della sua amica Rosa e di altre donne che la mattina del 21 giugno 1630 lo videro camminare, intabarrato di nero, rasente un muro con in mano alcune carte che sfregava contro il muro stesso.
Sia il Mora sia il Piazza vennero torturati in modo orribile. Constatata la morte, furono arsi al rogo e le loro ceneri finirono nelle luride acque del fiume Vetra.
La casa abitata dal barbiere venne rasa al suolo e proprio sul terreno venutosi a creare fu eretta la ben nota “colonna infame”, sulla quale scrisse anche Alessandro Manzoni, colonna che riportava scolpita la seguente frase: Lungi adunque, lungi da qui buoni cittadini, affinché l’infelice e infame suolo non vi contamini”.
I figli di Giacomo Mora furono incredibilmente puniti con la condanna ad essere considerati stranieri in città, diffidando inoltre la gente a non usufruire dei loro commerci.
Insomma, quando le superstizioni o le stupide credenze prendevano il posto di attendibili spiegazioni scientifiche, anche le più elementari, si verificavano fatti dalle conseguenze drammatiche.