Le relazioni di lavoro tra Verdi e Boito, nel corso della loro vita, furono a volte assai tempestose. Inizialmente, la colpa nasceva da un’ode piuttosto incauta e offensiva, rivolta al Maestro (senza mai nominarlo), un’ode che il librettista scrisse nel 1863.
Diceva tra l’altro: “Alla salute dell’arte italiana / perché la scappi fuori un momentino / dalla cerchia del vecchio e del cretino…” Verdi si riconobbe in quel vecchiume pronto ad essere spazzato via e decise perciò di rompere ogni rapporto con Boito.
Ma più avanti nel tempo, esattamente la sera del 19 novembre 1871, ci fu un incontro tra i due, del tutto casuale, avvenuto nella stazione ferroviaria di Milano. Verdi tentò di non farsi notare, ma il faccia a faccia si rivelò presto inevitabile. Si salutarono molto freddamente – dicono le cronache – e venne avviata una conversazione generica e banale,
imperniata sulle difficoltà di dormire tutt’altro che bene nel vagone-letto.
Alcuni giorni più tardi si inserì tra i due l’editore Giulio Ricordi, ben sapendo che una loro riappacificazione avrebbe conferito alla musica italiana un inserimento talentuoso di altissimo livello. Ovviamente, l’editore pensava in cuor suo ai consistenti proventi che sarebbero entrati nella sua azienda.
Con una mossa decisamente astuta, egli riuscì, dopo non pochi sforzi, a convincere Boito a sottoporre al Maestro il libretto dell’opera “Nerone”, confidando che lo stesso potesse musicarlo. A Verdi il soggetto di quell’opera non piacque affatto, ma questo contatto contribuì a sgelare l’atmosfera tra i due.
Giulio Ricordi, che era stato messo al corrente di questo primo passo positivo, invitò Verdi ad una cena affrontando un argomento che stava molto cuore al Cigno di Busseto: la messa in scena dell'”Otello”. Si diceva sicuro che la fattiva collaborazione tra il musicista e il librettista sarebbe sfociata in un autentico successo.
Nei giorni successivi, Boito si recò ripetutamente al Grand Hotel et de Milan, ove Verdi risiedeva abitualmente, ricevendo preziosi incoraggiamenti nello scrivere il relativo libretto. Decisero entrambi di eliminare il primo atto della composizione shakespeariana affinché la drammaturgia risultasse la più stringata possibile.
Diversi contrasti si evidenziarono e il varo di “Otello” non fu indolore, tanto che il biografo Claudio Casini scriveva: “Boito si era generosamente messo all’opera senza ottenere garanzie di vedersi accettare il libretto (…). Aveva fatto veramente di tutto per condurre in porto il lavoro da presentare a Verdi (…). Ma non aveva trovato di suo gusto il finale del terzo atto, quello in cui Otello, dopo aver insultato Desdemona, sviene”.
I batti e i ribatti continuarono in modo quasi inesauribile, ma l’opera riuscì finalmente a essere rappresentata. Infatti, la penultima di Giuseppe Verdi andò in scena alla Scala il 5 febbraio 1887 e gli applausi furono scroscianti.
Da quel momento, i complicati rapporti di lavoro tra i due si trasformarono in una profonda e sincera amicizia.