di Carlo Radollovich
Il Carnevale 2020 si sta avvicinando a grandi passi e riteniamo che valga la pena di occuparci di una maschera tipica della nostra Milano, quella di Meneghino. Come è nata? Facciamo un passo indietro nella storia ambrosiana e risaliamo alla fine del ‘600. In quell’epoca si desiderava spesso mettere in bella mostra le proprie famiglie, soprattutto sotto il profilo finanziario, anche se talune fossero quasi prive di fondi o decisamente squattrinate.
Ad esempio, la classica passeggiata in carrozza (magari presa in affitto) in direzione centro città, non poteva mancare, magari in compagnia di un apposito servitore, a pagamento per la sola giornata domenicale. Venivano reclutati nella vicina Brianza alcuni giovani che ben volentieri accettavano questa offerta di lavoro per arrotondare i loro stipendi quasi sempre assai magri. Essi venivano chiamati “domenichini”, la cui traduzione in dialetto si trasformò presto in “domeneghin” per poi essere abbreviata in “meneghin”.
Ed ecco che quest’ultima denominazione fece scattare nello scrittore e commediografo milanese Carlo Maria Maggi l’idea di associarla ad una maschera, Meneghino per l’appunto, inserendola con fortuna nella commedia dell’arte. Meneghino, sul palcoscenico, fu presto vestito con una lunga giacca verde e gilet a fiori gialli sopra una camicia bianca, pantaloni verdi al ginocchio, calze a righe, scarpe nere con fibbia, cappello a tre punte, parrucca quasi sempre nera con codino all’insù.
Assunse il simbolo del servitore onesto, sincero, dalla personalità trasparente, tanto che non fu mai imposto a Meneghino l’obbligo di indossare una maschera, trasfigurazione che nel teatro milanese avveniva quasi regolarmente. Ingenuo ma non troppo, si scontrò spesso con i suoi padroni, pronto a troncare qualsiasi rapporto di lavoro se fosse stato intaccato il suo sentimento di libertà. Insomma, fu sempre in grado di esternare coraggio e modi talvolta grintosi.
Come si configurava storicamente? Dapprima antispagnolo, poi sempre lontano dai dominatori francesi e infine contro la politica di Vienna. Nelle sue recite fu sempre galantuomo, dotato di senso civico, addirittura patriottico. E quando la sua ingenuità e o la sua buonafede sconfinavano in qualche complicazione di troppo, ecco che un’altra maschera ambrosiana, diventata sua moglie e di nome Cecca, riusciva a levarlo dai pasticci con molta scaltrezza.
Diedero una certa notorietà a Meneghino il Parini e anche il Manzoni, ma fu soprattutto Carlo Maria Maggi a lanciarlo nelle sue commedie dialettali, tra cui “Il falso filosofo” e “Il barone di Birbanza”.
Tra i molti attori che impersonarono la figura di Meneghino spicca il nome di Giuseppe Moncalvo (1781 – 1859). Nel corso di una rappresentazione, l’attore, per esigenze di copione, dovette asciugarsi le lacrime. Ma dalla tasca non estrasse un comune fazzoletto, bensì una sorta di panno tricolore. Il pubblico antiaustriaco apprezzò moltissimo, ma il povero Moncalvo dovette scontare alcuni giorni di prigione…