di Ugo Perugini —
Il musical è un genere di spettacolo complesso nel quale si manifestano diverse tecniche espressive che vanno tutte onorate allo stesso livello. Oltre alla recitazione, la musica e il canto devono trovare un equilibrio e un’armonia che riesca a dare credibilità e carica emotiva alla storia che si vuole raccontare.
Ne L’ascensore dell’autore spagnolo José Masegosa, presentato ieri sera in prima al San Babila, il mix ci sembra riuscito. Lo spettacolo, con caratteristiche di thriller sentimentale, anche grazie alla scena, alle luci fredde, bluastre, al vapore, che è il fiato tipico di New York che fuoriesce dai tombini, ci fa entrare subito in un clima di tensione, nel quale si andranno a intrecciare storie d’amore, di malattia e di morte.
La vicenda è quella di un matrimonio in crisi tra Emma, che lavora in uno studio legale, e John, brillante chirurgo ma dedito al gioco d’azzardo che lo porterà alla rovina economica. A cui si aggiunge la vicenda di Mark, giovane spiantato, a cui lo stesso chirurgo ha diagnosticato un tumore che può essere operato solo attraverso una costosa operazione che il ragazzo non potrebbe mai permettersi di pagare.
Da qui, il terribile ricatto di cui quest’ultimo cadrà vittima e il finale inatteso (che non riveliamo), perché nel frattempo tra Emma e Mark , ritrovatisi per qualche ora intrappolati nell’ascensore guasto di un grattacielo, entrambi in modo diverso bisognosi d’amore, nascerà un rapporto di complice intimità.
L’ascensore è un dramma intenso che tocca tra l’altro alcuni nervi scoperti della società americana come il potere opprimente del denaro e il valore che esso attribuisce a ogni cosa a cominciare dalla vita umana, e condiziona tragicamente le possibilità di cura, in un sistema sanitario che non prevede assistenza medica per chi non è coperto da assicurazione, anche dopo la riforma di Obama, peraltro messa in discussione. Senza dimenticare il facile, illusorio, ricorso alle armi.
Tornando al musical – che ha ricevuto diversi riconoscimenti da parte della critica – i tre interpreti, Luca Giacomelli Ferrarini, Danilo Brugia e Clara Maselli, che ha sostituito Elena Mancuso, hanno saputo calarsi bene nella storia e nei personaggi, rendendoli credibili e autentici, grazie anche a un dialogo contemporaneo efficace e diretto. Anche le loro performances vocali sono state tutte all’altezza, se si esclude qualche piccola sbavatura.
Le musiche, con l’accompagnamento di Eleonora Beddini, hanno dato corpo e tridimensionalità ai momenti più drammatici della vicenda, creando il giusto pathos, e sottolineando adeguatamente situazioni di suspense o romantiche. La regia di Matteo Borghi ha saputo costruire in modo molto moderno la vicenda, con trovate cinematografiche di logica ricorsiva e anticipando alcune scene clou, per creare un senso di ancora maggiore attesa e tensione negli spettatori.