di Carlo Radollovich
Questa antica chiesa, ubicata nella via omonima ed edificata originariamente nel V secolo, si presenta oggi completamente ammodernata grazie agli accurati restauri effettuati nel 1882 dall’architetto Angelo Colla, lo stesso professionista che avviò i lavori relativi al palazzo comunale di Piacenza.
Essa ci appare in un delicato stile neoromanico mentre la facciata, costruita in cotto, è sormontata da tre guglie poligonali. L’interno mette in evidenza spiccati accenti medievali, sottolineati nei suoi tratti da una sobria eleganza.
L’altare si presenta con ciborio sorretto da colonne corinzie.
Ai lati di questo altare, due cancelletti ci aprono la via verso la cripta cinquecentesca, interamente affrescata dai fratelli Fiammenghino, pittori che furono spesso al centro della Milano rinascimentale.
La stessa cripta custodisce i resti di San Calimero, quarto vescovo di Milano, sul quale disponiamo di poche notizie, non sempre attendibili.
Nel corso dell’ VIII secolo, si tornò spesso a parlare di San Calimero e il vescovo Tomaso (720 – 783) decise di ispezionare la cripta. Fece aprire il sepolcro del Santo e constatò che era completamente allagato (evento non inconsueto considerata la ricchezza della falda nel sottosuolo milanese). Egli diede disposizioni affinché venisse costruito in loco un pozzo, oggi ancora funzionante, per far defluire l’acqua.
Una lapide posta sul muro dietro il pozzo ricorda questi avvenimenti, ma qui non risultano tracce relative al martirio di San Calimero. Infatti, le notizie riguardanti la sua uccisione da parte di alcuni pagani (che lo avrebbero gettato in fondo ad una cisterna in segno di disprezzo) non sono state confermate a livello storico.
Nel Medioevo si diffuse la credenza che il pozzo fatto costruire dal vescovo Tomaso contenesse un’acqua miracolosa. Per questo motivo, in occasione della festa in onore del Santo (31 luglio), si provvedeva a distribuire quest’acqua agli ammalati invocando la loro guarigione.
Non solo. In periodi in cui la siccità affliggeva i campi, il sacerdote, non appena terminata la celebrazione della messa, raccoglieva l’acqua dal pozzo per poi versarla sul sagrato. Una sorta di rito propiziatorio per implorare la pioggia.