di Donatella Swift
Termini come bullismo e cyberbullismo, ovvero il bullismo attuato attraverso Internet o i Social, sono ormai entrati a far parte del nostro linguaggio quotidiano, legati in principal modo all’ambiente scolastico: sono sempre più numerosi infatti gli episodi che vedono protagonisti giovani ed anche giovanissimi. Ma in cosa consiste tale fenomeno? Si tratta di una forma di violenza, prima di tutto psicologica, ma spesso anche di tipo fisico, esercitata da una o più persone, genericamente associate al termine di “branco”, che partendo da una semplice presa in giro della “vittima” la fanno sentire sempre più debole, riducendola ad essere in qualche modo loro subalterna, succube delle loro volontà. La vittima del resto non viene scelta a caso: basta un carattere solitario o considerato tale o addirittura un abbigliamento ritenuto poco alla moda per scatenare le velleità più assurde in chi vuole appunto “bullizzare” il soggetto più debole. I segnali di quella che non a torto viene paragonata ad una forma di “schiavizzazione” del bullizzato possono essere individuati, tutto sta ad avere una certa accortezza, e perché no, anche un certo coraggio nel cercare di aiutare la vittima ad uscire dal tunnel in cui è caduto e da cui sembra non avere speranza di poter uscire. Segnali esteriori come inappetenza, che spesso porta all’anoressia sia tra le ragazze che tra i ragazzi, o ancora al contrario la bulimia, il chiudersi a riccio in se stessi, possono per esempio dare l’idea di come il ragazzo o la ragazza stia vivendo un momento di disagio personale che non deve essere sottovalutato. E la scuola come dicevamo è il luogo quasi deputato al fiorire di tali episodi: si va dalle richieste più banali, come comprare la merendina protratta nel tempo, a quella di fare i compiti, fino ad arrivare a minacce sempre più pressanti come quelle di denaro – dapprima somme modiche poi sempre maggiori – fino ad arrivare ad una sorta di rito di iniziazione, per consentire alla vittima di sentirsi importante, in quanto invitato a sua volta a fare parte, ipoteticamente, del branco stesso. Ma come si può arrivare ad avere ragione di tali episodi? Certamente molto sta alla volontà della vittima di denunciare quanto gli sta capitando, vincendo le sue normali ritrosie a parlarne con amici o genitori, in quanto tra le varie minacce da parte del branco, o del singolo bullo, c’è anche quella di essere considerato un infame nel caso si dovesse diffondere la notizia, a scuola come in famiglia. Certamente le famiglie giocano un ruolo chiave in tutta la vicenda, così come anche l’occhio vigile ed attento di un insegnante potrebbe evitare il procrastinarsi di certi comportamenti, alcuni decisamente avvilenti nonché pericolosi per il senso di autostima della vittima, che troppo spesso ha deciso di suicidarsi, come atto estremo di denuncia, laddove non se la sentiva di essere definitivamente bollata appunto come “infame”.