di Ugo Perugini
Non ha certo un bel significato la parola Nakba. Quando la pronunciano, i Palestinesi non nascondono la loro tristezza: Nakba in arabo vuol dire disastro, catastrofe ed è la definizione che questo popolo martoriato ha dato alla loro estromissione – a partire dal 1948 – dai territori in cui abitavano a seguito della costituzione dello Stato di Israele, nato dopo la fine del mandato britannico sulla Palestina e la relativa risoluzione dell’Onu.
Come al solito, le donne mostrano più concretezza degli uomini. Sanno ripartire dalle piccole cose per dare senso a un dramma terribile, la perdita della loro patria, e per impegnarsi a resistere, affrontando con determinazione e, spesso, in silenzio, la loro quotidiana battaglia per non perdere la propria dignità e il proprio orgoglio. E lo fanno attraverso l’arte del ricamo e del cucito.
E non lo diciamo a caso perché si tratta di vera e propria arte. Il ricamo, oltre a un valore estetico indubbio, ha anche un senso simbolico profondo che Leila Shahid, prima ambasciatrice della Palestina dal 1989, esprime molto bene: “Ogni volta che infili l’ago nel tessuto, hai l’impressione di riannodarti a qualcosa. Perché il punto croce è come un nodo. Questo è stato il modo in cui la generazione delle nostre madri ha resistito”.
Oggi, anche i Milanesi hanno la possibilità di ammirare le opere realizzate dalle donne palestinesi presso la Casa delle Donne nella sede di via Marsala 8. L’evento è stato organizzato dalla Comunità Palestinese di Lombardia, con l’Associazione per la Pace di Milano e la rete Radié Resch. Siccome molti non lo sanno, spieghiamo che Radié Resch era una bambina palestinese morta di polmonite in attesa di una vera casa, mentre la sua famiglia viveva – guarda caso – in una grotta a Betlemme. L’associazione di solidarietà internazionale è stata fondata dal giornalista Ettore Masina nel 1964.
Il progetto ha, tra l’altro, l’intento di valorizzare i talenti delle donne che esporranno una settantina di ricami, soprattutto copricuscini, tovaglie, piccoli oggetti e abiti femminili (abaye). Il vero clou della mostra è però un vestito lungo 32 metri e largo 18 progettato dagli studenti dell’Università di Hebron e dal Palestinian Child Home Club e ricamato a mano da 150 donne palestinesi. Questo abito, che è un po’ il simbolo dell’unità culturale di un popolo diviso, è entrato nel Guinness dei primati nel 2009!
Non mancate all’inaugurazione prevista per il 5 giugno alle 18,15 presso la Casa delle Donne via Marsala, 8. Saranno presenti l’ambasciatrice della Palestina, Mai Al-Kaileh e Luisa Morgantini di AssoPacePalestina. E’ prevista anche la presenza del Sindaco e dell’Assessore alla Cultura.