di Carlo Radollovich
Nasceva nel 1803 (stesso anno in cui vedeva la luce il teatro Carcano) sull’area di un convento che gli storici facevano risalire addirittura ai tempi dell’imperatore Berengario.
Qui risiedevano le monache di Santa Redegonda, tra le quali suor Teresa Francesca Guineani, che acquistò notorietà per la sua grande passione per la musica. Insomma una vera e propria suor Cristina ante litteram…
Il teatro ospitò dapprima spettacoli di marionette, ma presto ospitò rappresentazioni musicali e pure recite di moderne commedie. Si ricorda che nel 1810, una giovane poco più che quattordicenne, una certa Carlotta Marchionni, incantò il pubblico per il suo brio e per le ottime interpretazioni. La famosa Madame de Staël (1766-1817) scrisse di lei che “possedeva il genio della sua arte” e Carlotta sarà la prima, applauditissima interprete della tragedia di Silvio Pellico “Francesca da Rimini”, la sera del 18 agosto 1815.
Ma un altro gran nome esordì al Santa Radegonda: il diciassettenne Giovanni Pacini, dapprima apprezzato compositore in tema di farsa musicale (vedi ad esempio “Annetta e Lucindo”) e, successivamente, della tragedia lirica con “Saffo”.
Nel 1817 venne rappresentato il “Barbiere di Siviglia” di Rossini e l’anno dopo “Otello” dello stesso autore. Il pubblico frequentava con piacere questo teatro, tanto che la sala era spesso stracolma di spettatori. L’architetto e storiografo Paolo Mezzanotte (1878-1969), pur non avendo vissuto ai tempi del Santa Radegonda, scrive nei suoi “Itinerari sentimentali per le contrade di Milano” (quattro volumi, 1954-1958) che sul palco si facevano pure esercizi d’abilità con strani trabiccoli che potremmo definire trisavoli della bicicletta, spingendoli in modo quasi artistico.
Dopo il 1870 si esibì in teatro un maestro brasiliano, tale Carlo Gomez, un perfetto sconosciuto che riuscì tuttavia, con la sua briosa compagnia che metteva in scena operette, a raccogliere progressivamente un meritato successo, introducendo in Italia il gaio repertorio di Offenbach.
Nel 1875, l’impresario Edoardo Sonzogno introdusse in sala l’illuminazione a gas. I cronisti dell’epoca ricordarono il felice impatto di questo evento sul pubblico, veramente ammirato per il supertocco di modernità.
Purtroppo, nel 1881, il teatro iniziò il proprio declino con rappresentazioni sempre più sporadiche finché, l’anno seguente, venne abbattuto per lasciare spazio alla centrale termoelettrica della società Edison. Con la sua ciminiera in mattoni, alta più di cinquanta metri, che i milanesi osservavano svettare a poca distanza dal Duomo, la centrale, prima in Italia, stava per lanciare un preciso segnale: un nuovo tassello, relativo all’auspicata rivoluzione industriale, veniva inequivocabilmente posto.