Dopo una sana passeggiata in bici attraverso il Parco Sempione, quasi un assaggio di primavera accordatoci da un cielo milanese non proprio limpido, che tuttavia ha forse messo in fuga la sgradita umidità patita durante l’inverno, mi sono soffermato ad ammirare, una cinquantina di metri prima della recinzione dei giardini, l’artistica figura del nostro Arco della Pace, l’imponente monumento che ci ricorda l’Arc de Triomphe parigino. Il gruppo equestre “Sestiga della Pace” (quei cavalli che, dall’alto, sembrano impostare la propria corsa verso un galoppo sempre più sfrenato), mi ha incantato per l’ennesima volta e mi ha ricordato una polemica, forse non da tutti conosciuta, sorta poco prima che gli animali in bronzo, sapientemente modellati dallo scultore Abbondio Sangiorgio, venissero issati sulla sommità dell’Arco. Siamo nel luglio del 1837: Domenico Moglia e Francesco Peverelli, due abili supervisori alle diverse fasi di lavoro per la realizzazione del monumento, vollero esprimere una specifica richiesta: per garantire all’arco una migliore prospettiva, i cavalli avrebbero dovuto rivolgere i propri musi verso la campagna. Una decisa protesta venne subito sollevata da Abbondio Sangiorgio, il quale affermava che la sestiga era stata studiata per ricevere maggiore luce da Ovest e che il significato stesso manifestato dall’Arco, ossia la Pace, esigeva l’atto di offrire una sorta di ulivo alla città (tramite i cavalli) e non certo le poco nobili parti posteriori. La polemica proseguì per diverse settimane e fu poi risolta dall’arciduca vicerè del Lombardo Veneto Giuseppe Ranieri d’Asburgo-Lorena: la sestiga venne finalmente presentata ai milanesi girata verso il Castello Sforzesco. E il monumento, inaugurato il 10 settembre 1838 alla presenza di Ferdinando I d’Austria, rivolge ancora oggi un saluto alla città con i suoi destrieri che sembrano scalpitare in direzione della torre del Filerete,,,
Carlo Radollovich