mercoledì, Dicembre 18, 2024
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Totò, il piccolo principe, al San Babila.

No, non c’entra Antoine de Saint-Exupéry. Il principe di cui parla Antonio Grosso che ha scritto e diretto il lavoro teatrale presentato al San Babila è Antonio De Curtis, in arte Totò. Forse, qualche somiglianza con il personaggio del grande autore e aviatore francese esiste. Anche Totò, prima di diventare il principe della risata, ha dovuto affrontare molte difficoltà, dovendo misurarsi con il mondo degli adulti che non sempre lo comprendeva e spesso lo rifiutava.

Antonio Grosso e Antonello Pascale, ci raccontano i primi anni della vita del grande comico. Lo fanno attraverso i loro corpi, la loro mimica e una dinamicità tutta partenopea. E ricostruiscono ambienti, situazioni, che diventano rapidi e icastici frammenti di un puzzle che si compone pian piano, in cui  in realtà, cercano di farci capire come nasce una grande maschera del teatro. Il naso rotto, il mento deforme, un viso strano che suscita nella gente che lo guarda ilarità. Le preoccupazioni della madre per il figlio e la scoperta che “far ridere la gente è una cosa bella”.

Pur avendo nobili natali, Totò visse per le strade di Napoli, nel quartiere Sanità, come uno scugnizzo, con poca voglia di studiare, una irrequietezza che lo spingeva ad affrontare tutte le avventure più strane per poter campare, compreso inventarsi imprenditore di pompe funebri per la sepoltura degli animali. Allora cosa assurda, oggi non più.  

Ma, è il lato umano di Totò-maschera che emerge in modo evidente. E non è per nulla ridicolo. Anzi, talora sfiora il tragico. E si scopre, come capita spesso, che alla base di qualsiasi successo c’è sempre la sofferenza dell’uomo, le sue delusioni, il suo desiderio di rivincita, e, in fondo, il grande bisogno d’amore.

Totò amava la sua città, la sua gente e quando all’inizio si accorge che le sue macchiette, spesso copiate da altri comici, recitate senza ricevere alcuna paga, in modesti teatrini, frequentati da un pubblico di infimo ordine, delinquenti, prostitute, ecc. non vengono apprezzate, si impone, come un innamorato offeso dalla propria donna, di non recitare più a Napoli.

Poi, naturalmente, dopo molti rifiuti, cederà e tornerà trionfante nella sua città per diventare il vero simbolo della comicità fatta di sberleffo irriverente, ironia arguta e umorismo intelligente.

Grosso e Pascale ci raccontano anche di Totò soldato, che non capisce il senso della guerra (e sono parole che oggi non si sentono troppo spesso), e che ribadisce la dignità dell’uomo comune rispetto al caporale che sfrutta e umilia la gente solo perché ha un titolo per comandare.

E’ vero, non sempre è facile per il pubblico milanese seguire le battute in lingua napoletana che i due attori sul palco sparano a raffica. Ma la simpatia e la capacità comunicativa innate riescono a superare ogni ostacolo.

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