di Ugo Perugini
Portare sulla scena un’opera come “La cognizione del dolore” di Carlo Emilio Gadda è una sfida non facile per una serie di motivi. Anzitutto, la difficoltà di adattare drammaturgicamente un romanzo, peraltro incompiuto, l’impegno di mantenere, senza depotenziarlo, lo stile particolarissimo di scrittura dell’autore, l’abilità di ricostruire atmosfere e situazioni, immerse tra concretezza quotidiana e visionarietà onirica.
Il regista, Lorenzo Loris, che si è cimentato in questa impresa, e riuscito a cogliere numerosi degli obiettivi che si era riproposto, restituendoci una figura dell’ingegner Gadda non lontana da quella che ci eravamo costruiti leggendo il suo romanzo. Quel lavoro che lo stesso Autore, in una delle sue crisi, aveva definito “balordo”, sbagliato, pieno di dettagli inutili, inciampi, un groviglio esistenziale maturato solo dal dolore.
E il dolore è quello che aleggia funereo sulla villa in decadenza, palcoscenico degli avvenimenti, ricostruita come una trincea con sacchi di sabbia, mobili accatastati, per significare l’immanenza del dolore più grande di tutti, la guerra. Con i cannoneggiamenti e i lampi in lontananza. E’ in questo clima che si muove Gonzalo, con la sua guerra interiore, l’astio nei confronti della famiglia che non lo avrebbe amato (cui non risere parentes), l’amore/odio nei confronti della madre e del fratello morto in guerra.
Un personaggio, Gonzalo, pieno di contrasti, ossessionato dalla misantropia, dall’asocialità, preda di ire improvvise ma anche capace di acutissime analisi sociolinguistiche. Godibile, davvero, la sua invettiva contro il più lurido dei pronomi “io”, deliziosamente perfetta la sua descrizione del borghese che fuma dopo un lauto pranzo in un ristorante, con il gusto portato al grottesco del suo autocompiacimento. Potenti certe sue critiche, feroci i suoi sarcasmi su una borghesia di cui si sentiva parte ma che non approvava nei suoi ideali e nelle sue ottuse certezze.
L’abilità di Gadda nell’uso delle parole, pescate dai più diversi contesti e registri, amalgamate come una miscela esplosiva di significati, davvero glomeruli di senso che esplodono con efficacia chirurgica nelle mente di chi li legge, forse, recitati perdono un po’ del loro fascino. Gadda, infatti, è un autore che si legge e si rilegge più volte e ogni volta è capace di sorprenderci.
L’operazione teatrale di Loris è comunque lodevole e il finale con la scoperta dell’assassinio della vecchia madre lungi dall’apparire “aperto” rappresenta invece la conclusione più naturale di un dramma angoscioso che sa mettere le mani nel dolore; un dolore che vive, si nutre e prospera nella banalità del quotidiano al contrario dell’amore che da esso fugge via prima possibile. Ottimi gli attori a cominciare da Mario Sala con Monica Bonomi, Claudio Marconi, Nicola Ciammarughi e Cristina Caridi. Si replica fino al 21 dicembre.
Teatro Out Off , via Mac Mahon 16, “La cognizione del dolore”, prenotazioni: tel 02 34532140.