di U.P.
L’allarme parte da Lino Stoppani, presidente milanese di Epam, nazionale di Fipe e vice presidente della ConfCommercio di Milano. I pubblici esercizi – secondo il Presidente – sono facile preda della criminalità, che sfrutta il momento di crisi. Il danno, oltre che sociale, porta alla dequalificazione del settore con gravi danni all’immagine.
Qualche dato per capire il fenomeno. Ogni anno in Lombardia vengono avviate circa 3.000 attività di pubblico esercizio, un terzo nella sola provincia di Milano. La regione, con 223 attività (il 13,1%), è al terzo posto, dopo Sicilia e Campania, nella classifica delle aziende confiscate alla criminalità organizzata. Sono 1.708 le imprese complessivamente confiscate in Italia al 31 dicembre 2012: di esse il 10,1% (173) è nei settori della ricettività e della ristorazione.
Ma non è solo l’acquisizione dell’impresa il mezzo di controllo esercitato dalla criminalità. Lino Stoppani segnala la “presenza di attività di gioco nelle quali le organizzazioni criminali tentano di costruire un circuito illegale” all’appetibilità “di alcuni esercizi per lo spaccio di droga e persino del mercato della prostituzione” al “controllo della filiera con il quale si impongono alle imprese i fornitori da cui acquistare le materie prime”.
Non mancano, poi, i casi di racket in senso proprio. Continua Stoppani: “Siamo dinanzi alla punta di un iceberg ben più grande in considerazione del fatto che l’attività del racket è svolta da gruppi organizzati che ben pianificano la loro attività”.
Come opporsi a questo dilagare della malavita? Secondo Stoppani bisogna sviluppare “momenti di riflessione e di scambio di valutazioni tra sistema delle imprese e autorità” per “far crescere sentimenti di fiducia e sicurezza che portino alla moltiplicazione di atti di denuncia anche per mezzo di forme che non espongano direttamente i singoli alle ritorsioni delle organizzazioni criminali”.
Occorre denunciare questi fenomeni di infiltrazione criminale. E’ noto che tali infiltrazioni della criminalità organizzata all’interno di attività di pubblico esercizio sono per lo più utilizzate per riciclare denaro sporco. Vi sono però due tipi di “infiltrazioni”,, secondo Stoppani”, quelle “pulite” (con prestanome di diretta emanazione di associazioni malavitose) e i casi più eclatanti come quello di “Genny la Carogna” (finale di coppa Italia tra Napoli e Fiorentina) “qualificato come ‘gestore di un pubblico esercizio’, cosa tecnicamente impossibile visti i suoi precedenti penali”.
Le leggi sono sufficienti a fronteggiare questo grave fenomeno? Le norme esistono ma vanno applicate e soprattutto occorre intervenire per effettuare i necessari controlli. Sarebbe opportuno, precisa ancora Stoppani, “che i controlli venissero svolti non solo sui requisiti formali del titolare dell’attività, ma anche sull’effettiva gestione del locale, per evitare fenomeni di prestanome ed essere coerenti con la normativa antiriciclaggio che mira ad individuare proprio il titolare effettivo”.
Alla seduta congiunta delle Commissioni comunali Commercio e Antimafia, Stoppani propone “un obbligo di controllo con scadenze fisse (annuale/biennale) e soprattutto la previsione di controlli specifici sull’effettiva gestione” del pubblico esercizio. Occorre – conclude – “una rete di controlli periodici e effettivi”, “primo passo per impedire infiltrazioni criminali nel sistema dei pubblici esercizi”.