di Stefania Bortolotti
Intervista al professor Giuseppe Ambrosio –
Ordinario di Cardiologia, Università di Perugia
Professore, nella persona con diabete gli eventi cardiovascolari hanno un’incidenza maggiore che nella popolazione generale? Perché?
Innanzitutto, occorre premettere che ci riferiamo in modo largamente prevalente ai pazienti con cosiddetto diabete di tipo 2, cioè quello che si manifesta in età adulta o matura. Esso differisce in modo sostanziale dal diabete di tipo 1, cosiddetto ‘giovanile’, per vari motivi, il più importante dei quali è la scarsa secrezione di insulina nel diabete giovanile, mentre in quello di tipo 2 la secrezione insulinica può anche essere normale, ma è alterata la risposta dell’organismo a questo ormone.
Il motivo per cui questi pazienti sono più esposti al rischio cardiovascolare riconosce cause dirette e indirette. Innanzitutto, la condizione di alterata risposta all’insulina determina varie alterazioni biochimiche e funzionali legate all’aumento del glucosio e di alcuni suoi derivati. Poi, proprio per compensare la ridotta risposta, si può avere una paradossale situazione di iper-insulinismo; ciò comporta un eccesso di altre attività che pure sono proprie dell’insulina (indipendenti dal controllo della glicemia), prime fra tutte quelle di stimolo di proliferazione e rimodellamento vascolare. Questi effetti di tipo diretto concorrono ad aumentare e accelerare lo sviluppo dei processi aterosclerotici.
Allo stesso tempo, va compreso come il diabete di tipo 2 raramente è una patologia ‘isolata’. Il più delle volte lo si ritrova in pazienti che abbiano allo stesso tempo anche altri importanti fattori di rischio cardiovascolare (ipertensione, dislipidemia, obesità viscerale). Questa situazione, chiamata anche ‘sindrome metabolica’, ovviamente moltiplica gli effetti dannosi del singolo fattore di rischio. Quindi, in questo contesto, il diabete è anche spia di una condizione metabolica che favorisce lo sviluppo e la progressione dell’aterosclerosi, e quindi non deve meravigliare che il diabetico sia effettivamente a elevato rischio, all’incirca tanto quanto un paziente che abbia una nota cardiopatia ischemica.
I farmaci contro il diabete utilizzati nella pratica clinica possono aumentare il rischio cardiovascolare?
Per rispondere bisogna innanzitutto precisare che i farmaci attualmente utilizzati hanno un profilo abbastanza favorevole, e che certamente è di gran lunga più efficace tenere sotto controllo la glicemia, che astenersene per timore di effetti collaterali. Tuttavia, negli ultimi anni sono emersi dati assai solidi che indicano come alcune classi di antidiabetici abbiano un profilo di sicurezza meno favorevole relativamente alla possibilità di effetti sul rischio cardiovascolare. Mi riferisco in particolare ai farmaci della classe dei ‘glitazoni’, e alle solfaniluree.
Che cos’è il TECOS?
TECOS è uno studio multicentrico (ha interessato oltre 38 nazioni, con centinaia di centri di arruolamento), randomizzato versus placebo, in doppio-cieco.
Obiettivo dello studio era di valutare gli effetti cardiovascolari a lungo termine di una terapia ipoglicemizzante, che comprendesse anche l’uso di sitagliptin (o placebo), in aggiunta alla terapia standard che il paziente riceve come parte della usual care. Lo studio è stato condotto su una popolazione di diabetici ad alto rischio cardiovascolare, come definito da situazioni documentate di patologia vascolare coronarica, o cerebrale, o periferica.
Il razionale dello studio era di verificare, in condizioni di pratica clinica usual care (e quindi più vicina al mondo reale), se il trattamento con sitagliptin influenzasse gli eventi cardiovascolari, in una popolazione ad elevato rischio. Il motivo è da ricercarsi nella necessità, da parte degli organi regolatori, di escludere un potenziale effetto negativo, stante il riportato rischio con altre classi di farmaci ipoglicemizzanti. Per questo motivo, vanno sottolineati due aspetti:
- Lo studio NON era inteso a ottenere valori glicemici inferiori nel gruppo sitagliptin. Viceversa, si ricercava la ‘equipoise’, cioè un target metabolico equivalente nei due gruppi, indipendentemente dal tipo di terapia
- Come conseguenza, lo studio è stato disegnato come di ‘non-inferiorità’, intendendosi con questo che il trial viene considerato positivo (cioè favorevole) se il gruppo sitagliptin non mostra un aumentato rischio significativo di sviluppare eventi cardiovascolari
Sono stati arruolati complessivamente 14.724 pazienti, seguiti in follow up per almeno 3 anni.
Endpoint primario dello studio era un composito di:
- Morte cardiovascolare
- Infarto miocardico non fatale
- Ictus non fatale
- Ospedalizzazione per angina instabile
Endpoint secondari:
- Un composito di:
- Morte cardiovascolare
- Infarto miocardico non fatale
- Ictus non fatale
- Ciascun componente dell’endpoint primario
- Mortalità per tutte le cause
- Ospedalizzazione per scompenso cardiaco (validato dal Comitato Eventi Clinici)
Qual è l’importanza di questo studio? Cosa si aspetta la comunità medico-scientifica da TECOS?
In aggiunta a quanto già sottolineato, va messo in evidenza che TECOS ha raccolto una messe di dati unica, per la notevole numerosità del campione e il lungo follow up (superiore ad altri trial clinici in queste condizioni). Quindi, oltre ai risultati specifici relativi al farmaco testato, lo studio consentirà di acquisire moltissime informazioni sulla epidemiologia, clinica e terapia dei pazienti con diabete e patologia cardiovascolare.
Inoltre lo studio dovrebbe consentire anche di dare risposte precise a due possibili effetti indesiderati che sono stati segnalati in precedenza e cioè l’incidenza di nuovi casi di scompenso cardiaco e l’incidenza di pancreatiti acute/neoplasie pancreatiche.
Professore, qual è stato il ruolo dell’Italia?
L’Italia ha svolto un ruolo di primo piano, avendo arruolato 192 pazienti.
Va ricordato che i risultati dello studio sono stati presentati nelle Sessioni Scientifiche del Congresso dell’American Diabetes Association e pubblicati sulla rivista New England Journal of Medicine. I risultati dello studio TECOS stati accolti con molto favore da parte degli opinion leader scientifici presenti al recente Congresso di Boston Boston. Ecco altri pareri in merito.
Il professor Giuseppe Ambrosio sottolinea ancora l’importanza di questi dati, frutto di uno studio iniziato nel 2008: “I risultati dello studio ci dicono in maniera inequivocabile, senza se e senza ma, che il trattamento con Sitagliptin non presenta alcun incremento di rischio cv. I pazienti trattati con Sitagliptin non hanno riportato variazioni sia per eventi cardiovascolari che per ictus e infarto che anche per scompenso cardiaco, che invece in studi precedenti su farmaci di questa stessa classe aveva causato qualche perplessità. Le due curve sono assolutamente sovrapponibili. Non solo, considerati i pazienti arruolati nello studio, l’uso di Sitagliptin ha ridotto del 30% circa sia il ricorso ad altre terapie per la riduzione della glicemia che il trattamento insulinico”.
Il Professor Stefano Del Prato – Ordinario di Endocrinologia, Università di Pisa ricorda la genesi della ricerca e cosa comportano i risultati: “Lo studio non è stato disegnato per dimostrare una superiorità, cioè un effetto benefico, quanto appunto una sicurezza: possiamo dire che lo studio è un successo, perché ha raggiunto al 100% i suoi obiettivi in quanto si rileva una sostanziale sovrapposizione delle linee del rischio. C’era grande attesa su questi risultati, soprattutto rispetto al punto dell’heart failure. Si aspettava cioè di vedere se il modesto ma significativo aumento per ospedalizzazione riscontrato nello studio Savor fosse confermato. Anche da questo punto di vista lo studio Tecos è stato totalmente rassicurante perché non si è riscontrato aumento di ospedalizzazioni. Si apre adesso una nuova fase, quella di capire l’origine di queste differenze, importante per noi per avere una comprensione completa dei farmaci che usiamo”
Anche per il Professor Agostino Consoli – Ordinario di Endocrinologia Università di Chieti la sicurezza viene al primo posto: “È uno studio che ci ha tranquillizzato, fugando ogni dubbio sul profilo di sicurezza di questo farmaco rispetto agli eventi cv. Il fatto che in una popolazione molto a rischio, come quella selezionata per lo studio, non si sia registrato alcun incremento di rischio ci permette di usare con assoluta tranquillità Sitagliptin anche nelle condizioni iniziali della malattia nei casi in cui è indicato, quando è fondamentale trattare il paziente a un target ambizioso, ma in piena sicurezza con un favorevole profilo di sicurezza, per prevenire il danno vascolare”.