di Carlo Radollovich
Proseguendo la nostra interessante visita presso quella artistica dimora medievale che è rappresentata dal Castello Sforzesco, ci imbattiamo, nella Corte Ducale, in una fontana a muro, sulla quale spiccano cinque simboli apparentemente misteriosi e scollegati tra loro. Infatti, da sinistra verso destra, osserviamo tre anelli intrecciati, un sole raggiante, un cane, una colomba e un morso da cavallo.
Non si tratta di uno strano cifrario, ma semplicemente di una sottolineatura riguardante alcune imprese compiute dai Visconti e dagli Sforza.
Iniziamo dai tre anelli che riguardano l’incontro a Milano del 1414 tra Cabrino Fondulo, condottiero al servizio del Ducato di Milano e Signore di Cremona, Sigismondo di Ungheria e l’antipapa Giovanni XXIII, questi ultimi due in viaggio verso Costanza ove si tenne un Concilio per tentare di porre fine allo scisma d’Occidente. Si diede importanza all’impresa dei tre anelli (ossia il triplice incontro organizzato in città) quando Filippo Maria Visconti, impadronitosi di Cremona, volle evidenziare la propria ascesa sociale.
Il sole raggiante sta a significare come la gestione di Gian Galeazzo Visconti fosse simbolo di vita, capace di separare il bene (cioè il sole), dal male (ossia il buio). E il sole venne riprodotto non solo qui, ma anche sulla vetrata absidale del nostro Duomo, quasi rimarcando che Gian Galeazzo, come i veri re, venisse sempre illuminato dall’Altissimo.
Il cane, scolpito sotto l’immagine di un pino, sembra simboleggiare una garanzia sulla sicurezza dei milanesi. Infatti, si legge qui la frase “Quietum nemo impune lacesset” (nessuno turberà la pace conquistata con molta fatica). E si intende ricordare come Francesco Sforza, unito in matrimonio con l’unica figlia di Filippo Maria Visconti, Bianca Maria, consentì la prosecuzione della vita del casato.
La colomba è stata raffigurata con un cartiglio tra il becco, su cui è stato scolpito il motto “A bon droit” (a buon diritto). Si tratta di un augurio di pace e di esercizio della giustizia nel quadro del potere, rivolto da Francesco Petrarca al giovane Gian Galeazzo.
Il morso da cavallo, accompagnato dalla frase in tedesco “Ich vergiess nicht” (io non dimentico),sottolinea come Gian Galeazzo “mordesse” il freno perché tiranneggiato dallo zio Bernabò Visconti. Sappiamo come il nipote si vendicò susseguentemente di Bernabò, imprigionandolo e prendendo il suo posto.