L’arcivescovo Guido da Velate resse l’arcidiocesi milanese dal 1045 al 1069, grazie alla nomina che l’imperatore Enrico III di Franconia gli aveva riservato.
Anche se scagionato nel 1050 dalle accuse di simonia rivoltegli, dovette ben presto fare i conti con un agguerrito diacono proveniente da Cucciago (oggi in provincia di Como), Arialdo per l’appunto. Quest’ultimo stava in effetti affrontando, con tutta la sua straboccante carica di spiritualità, il dilagante malcostume del clero e le mille storture che lo stavano avvolgendo.
Trasferitosi a Milano, Arialdo tenne diversi cicli di predicazione, al centro dei quali si evidenziava sempre una particolare “luce”, quella che avrebbe dovuto illuminare i sacerdoti sulla base delle Sacre Scritture e sui buoni esempi di purezza che Gesù Cristo aveva dato ai suoi Apostoli e ai fedeli.
Egli si rivolse in modo accorato ai preti milanesi, pregandoli di sottoscrivere un documento secondo il quale avrebbero dovuto impostare la propria vita secondo precise regole dettate dalla castità.
Papa Stefano IX diede la sua approvazione, ma contemporaneamente esortò Arialdo a concentrare i propri sforzi soprattutto contro la simonia. In ogni caso, il movimento promosso da Arialdo andava sempre più diffondendosi e le ruggini contro Guido da Velate si facevano sempre più evidenti.
Nel 1060 papa Niccolò II inviò a Milano una delegazione capeggiata da Pier Damiani, grande teologo, e da Anselmo da Baggio, futuro papa con il nome di Alessandro II, con la finalità di sbrogliare una matassa decisamente intricata.
Ed ecco la svolta. Nel 1066 scoppiò a Milano una rivolta sobillata dai seguaci dell’arcivescovo perché, nel frattempo, era scattata la scomunica contro Guido da Velate a seguito dei molti e inascoltati richiami papali.
Dopo durissimi scontri avvenuti il 4 giugno, Arialdo, nel tentativo di evitare ulteriori spargimenti di sangue, decise di lasciare la città. Ma fu quasi subito catturato dagli sbirri di Guido e portato ad Angela, sul lago Maggiore.
Sottoposto ad atroci torture, venne seviziato a lungo, addirittura con l’amputazione di una mano e poi lasciato morire. Il suo corpo venne buttato nel lago. Il popolo milanese non ebbe più notizie di Arialdo finché, l’anno seguente, il lago restituì la salma assolutamente intatta, malgrado la lunga giacenza in acqua.
La città di Milano accertava i meriti che Arialdo aveva accumulato nel corso della sua breve vita, tanto che l’arcivescovo Guido, resosi conto delle proprie innumerevoli colpe, lasciò poco dopo l’episcopato affidandolo ad un suo dignitario.
Le spoglie di Arialdo furono collocate nella chiesa di San Dionigi per poi essere traslate, nel XV secolo, presso il nostro Duomo. Papa Alessandro II, in tempi rapidissimi (anno 1067) lo aveva elevato alla gloria degli altari.