di U. Perugini
C’è qualche segnale di stanchezza da parte del pubblico nei confronti della continua e ossessionante spettacolarizzazione della grande cucina e degli chef onnipresenti, sacerdoti di un culto elitario invadente, e, talora, un po’ assurdo. Si avvertono le prime reazioni di rigetto di fronte alle trasmissioni che da mattina a sera, su ogni canale, parlano di cibo.
Né è più possibile assistere a convegni, tavole rotonde, talk show, dove la cucina viene contrabbandata come alta cultura, riservando al cibo un valore estetico, ideologico, morale davvero esagerato, scomodando filosofi, sociologi, tuttologi che hanno trovato la materia adatta per esercitare le loro presunte conoscenze.
Stiamo perdendo il senso del limite e, quindi, finiamo per perdere di vista anche il senso dell’alimentazione popolare e della cultura della convivialità, come sostiene l’antropologo Franco La Cecla (“Contro il cibo kultura”, Il Mulino editore). Antonio Albanese, di recente, ha pubblicato un libro umoristico – “Lenticchie alla julienne”, Feltrinelli editore – che mette alla berlina il mondo un po’ folle della cucina e uno chef alla ansiosa ricerca delle “stelle Michelin” (Ma non rifate le sue ricette!).
Insomma, ci sono molte reazioni a questa sovraesposizione culinaria, ma la massa continua ad assistere, quasi impotente, a una sorta di pornografia del cibo, cioè al gusto maniacale per la preparazione, la presentazione dei piatti, le fotografie delle pietanze. Spesso contano di più i preliminari, le attese, le esibizioni in grado di favorire delle stimolazioni papillari, delle emozioni di piaceri futuri che non il cibo che si mette sotto i denti.
Non si mangia per il piacere naturale di mangiare e stare insieme condividendo una esperienza gradevole in allegria ma interessa di più il modo in cui il cibo viene presentato, come in un’ossessione continua, in un’esibizione ostentata, una messa in scena fine a se stessa, compresi gli eventuali valori nutrizionali o salutistici, spesso più ipotetici che reali, che il cibo apporta, cosa che ci fa perdere di vista il gusto naturale del nutrirsi.
La recente scomparsa di Gualtiero Marchesi, grande maestro della cucina italiana (forse il più grande), offre l’occasione per chiarirci le idee. Anche a Marchesi non piaceva per nulla il protagonismo, l’arroganza, la presunzione di certi chef e la spettacolarizzazione di certe trasmissioni televisive. E dall’alto della sua esperienza l’aveva accennato più volte.
Ci piace riportare alcuni stralci di uno dei suoi ultimi interventi: “Se è vero che il futuro dipende da ognuno di noi, allora il futuro è già. L’unico modo per intravederne le mosse è di fare un passo indietro. Nel caso della cucina, un passo indietro fino alle radici dei nostri sapori. Guardarsi in casa, ricordare, perché un presente senza memoria è pericoloso. Chi ricorda sa e allora può attualizzare un piatto, renderlo moderno senza tradirne lo spirito. Non sopporto chi ingolfa le ricette con una quantità inverosimile di ingredienti, possibilmente molto cari.
È chiaro che, rispetto ai bisogni e ai gusti di cinquant’anni fa, andiamo verso una maggiore semplicità da cui dipende l’attrazione dei giovani verso le cucine orientali. Naturalmente, c’è anche il rovescio della medaglia, quando si scivola dalla semplicità all’omologazione. Per questo mi interessa conoscere cosa mangiano i giovanissimi, ripartendo da lì, da una diversità spesso negata.
Non esiste, a mio giudizio, una cucina alta o bassa, ma una cucina che, a qualsiasi livello, si divide salomonicamente in cucina buona o cattiva. Anche un panino sa essere pessimo, oppure dirti qualcosa, al di là dell’immediato soddisfacimento della fame. (…) Quando provi questa emozione significa che nella semplicità affiora anche una parte di invisibile. Significa che il diversamente buono e il diversamente bello hanno, per un attimo, trovato la forma in cui esprimersi. Per i cuochi, quelli veri, la materia è il fine e il mezzo della loro arte. Nella materia è già suggerita la composizione.”
Al grande Maestro Marchesi, due anni fa avevo realizzato una intervista che chi vuole può andarsi a rileggere:
www.beesness.it/2015/09/30/gualtiero-marchesi/