venerdì, Novembre 15, 2024
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Ricordare le tragedie, le guerre del passato è sempre una cosa giusta?

di U.P.

C’è una frase famosa che ci ripetono sempre: “Chi non ricorda il passato è destinato a riviverlo”. Ma è proprio vero? Abbiamo letto con interesse l’articolo di David Rieff, uno scrittore, giornalista del “Guardian” tra i più acuti e profondi, che ci ha fatto pensare.

Nella nostra epoca c’è un vero e proprio culto della memoria. Lo dice anche Tzvetan Todorov che sostiene che siamo tutti ossessionati dalla memoria. Nessuno nega che le persone debbano commemorare i loro morti e ricordare le atrocità passate. Né sarebbe giusto dimenticarle. Però, ricordare troppo, secondo Rieff, può essere pericoloso.

Esiste una malattia psicologica rara, chiama ipertimesia, che individua il comportamento di una persona che pensa ossessivamente al proprio passato o ha una capacità straordinaria di ricordare le cose del suo passato. In questi ultimi anni, tale malattia ha colpito interi gruppi o popolazioni, spesso condizionandone i comportamenti morali e le esigenze etiche. Secondo Rieff, il pericolo non è dimenticare ciò che è stato vissuto (guerre, devastazioni, stragi, ecc.) ma ricordarlo bene, troppo bene.

Certo non bisogna essere tranchant. Mentre dimenticare vuol dire fare torto al passato, ricordare significa fare un’ingiustizia al presente. Quando però la memoria collettiva condanna la comunità a sentire dolore per le ferite storiche subite o l’amarezza per le violenze o le ingiustizie passate, secondo Rieff, non è il dovere di ricordare che deve essere onorato ma piuttosto quello di dimenticare.

Certamente, non è facile affermare con sicurezza se sia meglio dimenticare o ricordare, quello che è sicuro è che in questi momenti in cui l’umanità mostra pericolose tendenze all’aggressione, forse dimenticare potrebbe essere un elemento di aiuto per creare meno tensione ed evitare di rinfocolare tensioni e odi passati.

Rieff cita qualche esempio nel quale dimenticare è stata la soluzione più giusta. Charles De Gaulle quando decise che la Francia avrebbe dovuto aderire all’indipendenza algerina, si senti dire da alcuni consiglieri: “Ma dimentichiamo tutto il sangue versato?”. Lui rispose: “Nulla si asciuga più rapidamente del sangue!”

Altro esempio è il cosiddetto “Patto del olvido” (Patto “tacito” dell’oblio) in Spagna tra destra e sinistra dopo la morte del Generale Franco. Il passaggio alla democrazia è avvenuto cercando di dimenticare il passato. Ad esempio, i nomi delle numerose vie che nelle città spagnole erano state dedicate a eroi o personaggi “fascisti” non furono sostituiti da altrettanti martiri o eroi repubblicani ma da personaggi storici del passato.

Per finire, Rieff cita una poesia della Szymborska, premio Nobel, che pure aveva vissuto nella Polonia al tempo dei nazisti e dei russi e che sostiene che l’unica cosa vera è la realtà dell’oggi e che la vita continua e lo fa in tutti i luoghi (Kosovo, Guernica, ecc., anche quelli dove sono avvenuti tremendi fatti di sangue). Insomma per la poetessa l’imperativo categorico etico è dimenticare in modo che la vita possa andare avanti come è giusto che sia: anche l’elaborazione del lutto a un certo punto deve finire, in caso contrario il sangue non si asciuga mai e la fine di un grande amore diventa la fine dell’amore stesso e anche se non si ricorda nemmeno più il motivo della guerra che è stata scatenata, la memoria del rancore può perdurare e  fare altri danni. La posizione di Rieff è provocatoria ma non è assurdo rifletterci sopra.

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