lunedì, Dicembre 23, 2024
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Procreazione Medicalmente Assistita & nuovi LEA

Con il Servizio Sanitario Nazionale l’infertilità non è più un tabù, ma una patologia da curare. PDTA (Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale) definiti, sicurezza e…

…inclusione gli obiettivistrategici per favorire equità di accesso in tutte le regioni Italiane

È iniziato il countdown: 32 giorni e i LEA, Livelli Essenziali di Assistenza, diventeranno una realtà anche per i trattamenti che riguardano la Procreazione Medicalmente Assistita (PMA). Un passo importante, che sancisce un diritto alle cure per le coppie che altrimenti avrebbero difficoltà ad avere un figlio. Un cambiamento epocale, dunque, che ha come obiettivo quello di uniformare l’accesso a questi trattamenti e invertire la tendenza del calo demografico.

Secondo i dati appena pubblicati sul diciassettesimo report dell’Istituto Superiore di Sanitàgrazie alle tecniche di PMA nel 2021 sono venuti al mondo 16.625 bambini, pari al 4,2% del totale dei nati. Con l’entrata in vigore dei LEA, l’obiettivo è di arrivare al 7% nel 2025. “Con i LEA abbiamo ottenuto la legittimazione delle cure, che diventano un diritto per tutte le coppie che ne hanno necessità, in linea con quanto sancisce il nostro Sistema Sanitario Nazionale” – spiega Antonino Guglielmino, Fondatore della S.I.R.U. – Società Italiana della Riproduzione Umana. “Questo è il primo passo di un lavoro più ampio che coinvolge le Regioni. Infatti, attraverso i nostri delegati regionali abbiamo chiesto la costituzione di tavoli tecnici per affrontare le criticità locali e in primo luogo accrediti e convenzioni, da declinare in base alle esigenze della singola Regione, alle domande attese e alla capacità di risposta dei centri a disposizione. Sarà fondamentale anche la creazione di percorsi diagnostico terapeutici assistenziali sulla base di linee guida già presentate dalla S.I.R.U.”.

“L’entrata in vigore del Nuovo Nomenclatore tariffario presenta un’opportunità per il Servizio Sanitario Nazionale ed in particolare per le Regioni in Piano di Rientro che non possono erogare prestazioni che non siano appositamente tariffate con Decreto Ministeriale. Pertanto, nel caso specifico, le Regioni non in Piano di Rientro, con risorse di bilancio autonomo hanno potuto erogare le prestazioni di PMA. Si tratta di una prestazione di assoluta rilevanza e correlata all’età della donna.” – spiega Antonella Caroli, Dirigente del Servizio Strategie e Governo dell’Assistenza Territoriale – Rapporti Istituzionali e Capitale Umano S.S.R., Regione Puglia. “La Regione Puglia in virtù dell’entrata in vigore delle Nuove Tariffe di specialistica ambulatoriale sta predisponendo un Regolamento per la definizione dei requisiti per l’accreditamento al fine di garantire prestazioni di PMA con oneri a carico del Servizio Sanitario Nazionale.”

L’entrata in scena dei nuovi tariffari LEA apre il dibattito sulla copertura dei costi dei trattamenti. “E’ un problema da affrontare, per evitare discriminazioni nei percorsi” – sottolinea Adolfo Allegra, Presidente di CECOS Italia. “Le valorizzazioni delle voci PMA sono in molti casi inferiori ai costi! Quindi probabilmente sarà necessaria un’integrazione che o verrà sostenuta dalle Regioni o, purtroppo, graverà sui pazienti”.

Un esborso economico riguarderà certamente anche le tecniche eterologhe, cioè quelle che richiedono l’utilizzo di gameti estranei alla coppia. “Infatti, i nuovi LEA non prevedono l’acquisizione dei gameti all’estero, ma nel nostro paese, per contro, nel 97% di casi è invece necessario acquisire i gameti da banche estere. Anche qui ci sarà probabilmente una disparità regionale. Infatti, in alcune regioni è stata attivata la banca regionale centralizzata che acquisisce i gameti e li invia al centro che ne fa richiesta. Nelle regioni in cui invece le banche non sono state ancora istituite il costo di acquisizione dei gameti rimarrà a carico della coppia”.

L’obiettivo dovrebbe essere quello di estendere il modello di una banca regionale centralizzata a tutte le regioni italiane che già oggi dispongono di banche pubbliche per la conservazione di cellule e tessuti.

Le tecniche eterologhe sono state rese legittime anche in Italia grazie a una sentenza della Corte Costituzionale nel marzo 2014, che ha di fatto modificato la legge 40. Tra poco saranno dieci anni e, ciò nonostante, molte coppie ancora non sanno che possono seguire questo percorso nel nostro Paese. “L’entrata in vigore dei LEA deve essere anche l’occasione per promuovere una maggiore informazione su questi temi, sia sul territorio, sia durante il counselling effettuato prima di iniziare il percorso e campagne di solidarietà per la donazione dei gameti” – sottolinea Walter Vegetti, Responsabile di Struttura Semplice Centro PMA Fondazione Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. “Questo vale per tutto, compresa l’età. Nei LEA, la PMA è possibile fino al compimento dei 46 anni della donna e questo non fa che alimentare l’illusione che funzioni sempre e comunque. Ma è bene sottolineare che le tecniche di PMA non devono essere considerate una terapia per l’età e lo dicono anche i dati: dopo i 43 anni le nascite sono pari al 2%, con un rapporto rischio-beneficio per la donna e costo-beneficio per il SSN, che pesa in negativo”.

Resta da sciogliere anche il nodo relativo alla diagnosi preimpianto. Infatti, anche questa non è prevista dai LEA. Qui, la questione non è infatti la fertilità, ma la possibilità di evitare di avere un figlio affetto da una malattia genetica. “Il test preimpianto consente di verificare se l’embrione è sano oppure malato” – sottolinea il professor Allegra. “In questo modo, si evita l’eventuale aborto terapeutico di un feto malato, con tutto ciò che questo può comportare a livello psicologico per la donna. I LEA non prevedono neppure il prelievo degli spermatozoi mediante la tecnica TESE e quindi direttamente dal testicolo, tecnica che invece oggi viene praticata in circa il 40% dei casi dei pazienti azoospermici”.

Sul tavolo, tra le questioni in sospeso che richiedono una giusta risoluzione, anche l’annoso problema dei tempi. Non si tratta delle liste di attesa, ma del tempo che perdono le coppie prima di arrivare a un centro PMA. “La mia è una storia a lieto fine, ma con un percorso tortuoso” – racconta Enza Perna, che ha fondato di recente l’associazione Mamma in PMA. “Dopo qualche anno di rapporti non protetti, ci siamo rivolti al ginecologo, ma tutto sembrava nella norma nonostante la gravidanza si faceva attendere. Abbiamo deciso a quel punto di affidarci alla scienza e iniziare un percorso che tra diversi ostacoli e un forte carico psicologico, legato soprattutto alla solitudine e allo spaesamento che derivavano dalle poche informazioni disponibili, ci ha portato dopo quattro anni a diventare genitori. Per evitare ad altre donne di affrontare le stesse mie difficoltà, ho deciso di iniziare a parlare della mia storia sui social, ho aperto quindi la pagina @cominciamo123 e successivamente ho fondato l’associazione”.

Dalla nascita di Alessandra Abbisogno nel gennaio 1983, prima bambina concepita in provetta in Italia, ad oggi, la ricerca nell’ambito della PMA ha fatto passi da gigante. “Le innovazioni hanno permesso a coppie di diventare genitori, pur essendo in condizioni che un tempo sarebbero state definite irrisolvibili” – racconta il dottor Vegetti. “Penso non solo all’avvento della ICSI che consente la fecondazione e la gravidanza quando il seme è molto povero di spermatozoi o con spermatozoi di ridottissima motilità; ma anche alla tecnica di crioconservazione mediante vitrificazione, che permette una migliore sopravvivenza dei gameti, degli embrioni e delle blastocisti, sia al congelamento, sia allo scongelamento, con possibilità di gravidanza simili a quelle ottenibili con gameti ed embrioni cosiddetti a fresco”.

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