di Carlo Radollovich
Nel corso del XVI secolo fiorirono diverse leggende su questa bella costruzione, in grado di affascinare ancora oggi molti visitatori. Ne citiamo una, anche se collegata a tratti ad alcuni precisi riferimenti storici.
Sembra che l’idea di costruire l’imponente palazzo fosse nata a seguito di un casuale incontro tra l’anziano genovese Tommaso Marino (banchiere-usuraio da anni abitante a Milano) con la giovane e bellissima veneziana Arabella Cornaro, figlia di un noto patrizio appartenente alla Serenissima.
Il Marino rimase incantato dalla bellezza di Arabella, tanto da innamorarsene con il classico colpo di fulmine. Inoltrò con sollecitudine una richiesta di matrimonio al padre della ragazza, ma questi rifiutò categoricamente. Per tutta risposta, lo spasimante fece rapire la giovane grazie all’indispensabile aiuto dei suoi bravi. E questo fattaccio fu ritenuto gravissimo e rischiò di provocare un vero e proprio conflitto diplomatico tra la Repubblica di Venezia e il Ducato di Milano. Dovette intervenire il governatore spagnolo il quale, grazie ad un delicato e accorto passo, riuscì a mediare il dissidio con successo. Infatti, papà Cornaro avrebbe acconsentito di di far celebrare il matrimonio se il banchiere avesse fatto costruire un palazzo tanto bello quanto le splendenti grazie della figlia.
In men che non si dica, l’edificio venne progettato e realizzato dall’architetto Galeazzo Alessi. Ma le spese sostenute da Tommaso Marino furono così ingenti da portare il banchiere sull’orlo del fallimento. E quando le autorità spagnole si resero conto che il banchiere non fu più in grado di far fronte ai debiti, gli confiscarono il palazzo, destinandolo nel giro di qualche mese all’ufficio locale delle tasse.
La rabbia dei milanesi contro l’inadempiente e insolvente genovese fu tale da coniare la seguente, malaugurata frase: “Congeries lapidum, multis constructa rapinis aut uret, aut ruet, aut alter raptor rapiet” (mucchio di pietre costruito grazie a molte ruberie, o brucerà, o cadrà, o sarà rubato da qualche altro ladro). E il vaticinio andò quasi in porto, considerato che il palazzo, nel 1943, fu seriamente danneggiato dai bombardamenti.
L’avvenuta confisca dell’edificio fece imbestialire il Marino, il quale si scatenò incredibilmente sulla povera Arabella, impiccandola con le sue stesse mani.
Il banchiere, malgrado le disavventure e il crudele assassinio, campò sino a 97 anni. Una sua nipote, al secolo Marianna de Leyva, costretta a farsi suora a sedici anni, diventò poi quella ben nota Monaca di Monza che Alessandro Manzoni immortalò ne “I promessi sposi”.