di Carlo Radollovich
Mentre il Filarete si occupava alacremente della costruzione del Castello come direttore dei lavori, gli Sforza affidarono all’architetto fiorentino un altro prestigioso incarico: progettare un nuovo ospedale su un terreno della città, di personale proprietà dei duchi Francesco e Bianca Maria e da questi donato alla città. L’area era assai vasta, tra Santo Stefano e San Nazaro.
Si sarebbe allestita un’istituzione che possiamo definire caritatevole, per accogliere ammalati poveri, anziani in precarie condizioni di salute e anche pellegrini.
La prima pietra venne posta nell’aprile del 1456 e, sotto il profilo architettonico, l’ospedale (battezzato dai milanesi “Ca’ Granda”) si delineò nel corso degli anni, circa 350 complessivamente, in tre distinte fasi: la rinascimentale (sotto gli Sforza), quella ispirata al barocco (sotto gli spagnoli) e quella neoclassica (sotto i francesi). Malgrado la diversità degli stili e la lentezza della realizzazione, a seconda delle disponibilità finanziarie, il tutto non si scostò dal progetto originario del Filarete: un ampio cortile centrale con una chiesa al centro, due corpi di fabbrica articolati attorno a quattro cortili. In totale si contarono nove caratteristici chiostri con portici al piano terreno e loggiati al piano superiore.
I lavori sotto gli Sforza durarono dal 1456 sino alla caduta di Ludovico il Moro (1499).
Da quest’ultima data si verificò uno stop di ben centoventicinque anni, un arresto imputabile alla mancanza dei fondi necessari. I lasciti dei privati e le donazioni ecclesiastiche non furono sufficienti e soltanto nel 1624, grazie al sostanzioso lascito del banchiere Giovan Pietro Carcano, fu possibile riprendere le varie opere. Verso la fine del ‘600, riaffiorarono le ristrettezze economiche tanto che i lavori ripresero, purtroppo, solo in modo assai stentato. Ma ecco che il notaio Giuseppe Macchi, morendo nel 1797, destinò alla Ca’ Granda un vero patrimonio: due milioni di lire d’oro. Tra il 1797 e il 1804 si riuscì finalmente a completare l’ospedale sotto l’esperta guida dell’architetto Pietro Castelli.
Va infine ricordato che la costruzione dell’ospedale, al di là del fine caritatevole menzionato, non prese vita per concretizzare tra l’altro splendide immagini architettoniche o per ricercare accurate esteticità, ma ci si preoccupò di conferire alla Ca’ Granda elementi di effettiva funzionalità: consentire, ad esempio, facile accesso a tutti i bracci, con riconosciuta gratitudine soprattutto da parte dei sanitari.