di Carlo Radollovich
Gli ordini religiosi, attorno al 1250, apparivano numerosi specialmente nella nostra città. Infatti, oltre ai più noti Francescani, Domenicani e Cistercensi, questi ultimi fondatori delle abbazie di Morimondo e Chiaravalle, vorremmo citare anche alcune “anomale” confessioni come quelle dei Patari, dei Catari e degli Ariani. Presso questi tre gruppi, in particolare, le discussioni si animavano di frequente quando venivano evidenziate sostanziali differenze tra loro nell’interpretazione delle sacre Scritture.
L’Inquisizione non stava certo a guardare e combatté gli eretici con mano davvero pesante, arrivando addirittura a condannare al rogo i persistenti e dissidenti infedeli. Con gli occhi di oggi, giudichiamo senz’altro crudeli certi atteggiamenti, specialmente quelli che prevedevano atroci torture per far confessare, estorcendo, i poveri malcapitati.
In questo clima decisamente burrascoso e infuocato, giunse a Milano dalla Boemia, nel 1270, una certa Guglielmina, presunta figlia del monarca boemo Ottocarro I. Sistematasi dapprima presso Porta Tosa, si mostrò donna assai mite, buona d’animo e anche generosa. Aveva perso da poco il figlio e si occupò subito con dedizione dei poveri, nel tentativo di alleviare le loro sofferenze.
Conobbe un certo Andrea Saramita, fratello della suora Maifreda da Pirovano, con il quale avviò parecchie intese di natura spirituale. Si ipotizzava che tra i due stesse per allacciarsi una più stretta amicizia, ma essi affermarono in diverse circostanze che la loro “unione” si fondava soltanto sulla ricerca del soprannaturale. Molti cittadini pregavano con loro e impostavano discorsi vari sulla religione cristiana dimostrando molta stima per i due personaggi.
La cosa destò particolare allarme nell’Inquisizione, la quale cominciò a subodorare la formazione di una vera e propria setta. E comunque il rapporto con Guglielmina si guastò quando il Saramita, fanaticamente, dichiarò che la Santissima Trinità si era addirittura incarnata nella donna. Questa improvvisa asserzione sconvolse totalmente Guglielmina, la quale litigò pesantemente con l’uomo. Molto addolorata e depressa, non riuscì a reagire e si spense nella sua nuova casa di via San Pietro all’Orto nell’agosto del 1281, attorniata da fedelissimi seguaci.
Fu sepolta nell’abbazia di Chiaravalle. Tuttavia, la sua fama non morì con lei, tanto che il Saramita e la sorella suora divulgavano la fede che vedeva al centro l’incarnazione della Santissima Trinità in Guglielmina. L’eresia era ormai ufficialmente aperta e l’Inquisizione accertò in via definitiva il sorgere di eventi spirituali decisamente contrari alla fede tradizionale.
Per Andrea Saramita e sua sorella non esisteva ormai alcuna via d’uscita. Vennero processati con un rito assai breve, sottoposti a torture e infine bruciati in piazza Vetra.
Non contenti, i Domenicani se la presero anche con i poveri resti di Guglielmina, riesumati e poi dati alle fiamme. Ma, dopo una sessantina d’anni, la figura di Guglielmina venne riabilitata con pieno riconoscimento della sua moralità, anche se la Chiesa non volle mai occuparsi di lei sotto il profilo della santità.