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Natalia Ginzburg, l’eterna ragazza della narrativa

Nata nel 1916 da padre ebreo e da madre cattolica milanesissima, comincia a scrivere a dodici anni diversi racconti per poi iniziare a comporre “Un’assenza”, raccolta di impressioni che risulterà formata da ben trentasette testi, ricchi di memorie e di cronache che percorrono, attraverso itinerari particolari, mezzo secolo della sua vita di scrittrice.

La sua prima pubblicazione appare nel 1933 sulla rivista fiorentina Solaria, fondata da Alberto Caroccio. Nel 1938 si sposa con Leone Ginzburg, consulente dell’editore Einaudi e studioso di letteratura orientale, che da sempre si dichiara antifascista.

Per questo motivo sarà inviato al confino assieme alla moglie e purtroppo morirà nel ’44 a seguito di pesanti torture perpetrate dai nazisti. Natalia va a vivere a Torino e qui dà alle stampe “La strada che va in città”. Protagonista del libro è un giovane pigro e passivo che non riesce a esprimere quel mondo che vive dentro di lui.

Nel ’47 esce “E’ stato così”, la storia di una donna che uccide il marito per gelosia. Forse, proprio da questo libro, la narrativa della Ginzburg acquista una vena di indubbia identità neorealista, una identità che rispecchia il suo autentico modo di collocarsi.

Più avanti, nel suo “Lessico famigliare” descrive con dovizia di particolari piccoli fatti della vita di tutti i giorni che poi sfoceranno in alcune concretizzazioni per certi versi straordinarie.

Ogni sua considerazione è sempre pervasa di antifascismo e al centro delle sue riflessioni figurano nomi di spicco come Adriano Olivetti, Carlo Levi, Margherita Sarfatti, Anna Kuliscioff. Da notare che “Lessico famigliare” sarà adottato come libro di lettura per le scuole e questa sua opera verrà largamente diffusa.

Si risposa nel 1950 con lo studioso di letteratura inglese Gabriele Baldini, ottimo traduttore e pure critico letterario, mentre nel ’52 appare nelle librerie “Tutti i nostri ieri”, che abbraccia la vita di una giovane durante il secondo conflitto mondiale.

Seguiranno tra gli altri “Le voci della sera, “Mai devi domandarmi” e “La città e la casa” e proprio nell’ambito della casa la Ginzburg descrive, con spiccata delicatezza, una nutrita serie di emozioni e sensazioni.

Ma ecco sorgere in lei, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, un vivo trasporto verso il teatro. Compone infatti “Ti ho sposato per allegria” e “Paese di mare”, utilizzando non soltanto uno scorrevole dialogo, ma anche ricorrendo ad una sorta di “ironico disincanto”. Anche qui è presente la sua speciale narrativa che Italo Calvino battezza “tutt’occhio”.

Contemporaneamente dice di sé, forse rammaricandosi: “Non capisco la musica perché non l’ascolto” e inoltre “Conosco assai poco la pittura perché raramente guardo a lungo un quadro”. In ogni caso, grazie al suo adorabile “tutt’occhio”, riesce ad imprimere alla narrativa un sostanziale svecchiamento, affidandosi con semplicità ad un certo lessico di stampo chiaramente familiare.

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