di Carlo Radollovich
Il piatto che forse rappresenta la nostra città più di tutti è la “cassoeula”, tradotto a volte in italiano con un pessimo “cazzuola”. Sembra già di percepire il suo gustoso sapore – vedi foto -, ancora prima di vedercelo servire, citando semplicemente gli ingredienti: salsiccia, cotenne di maiale, costine sempre di maiale soffritte con olio e scalogno, piedini e verza. La tradizione narra che la ricetta sia stata inventata da massaie con poco tempo a disposizione, le quali decisero di unire zuppa, verdura e carne in un solo piatto.
Altre massaie, anche loro alle prese con la mancanza di tempo, intendevano consumare un pasto veloce unendo semplicemente il riso agli ossibuchi. Questi dovevano essere dapprima infarinati per poi subire un rosolamento nel burro e nel vino. Un pizzico di maggiore gusto veniva assicurato da donne, con qualche minuto in più a disposizione, ricorrendo alla “gremolada”, a base di prezzemolo, aglio, scorza di limone. Il tutto doveva essere tritato finemente e adagiato sugli ossi buchi con qualche goccia d’olio.
E poi ecco spuntare la “busecca”, per gli appassionati ansiosi di mangiare con appetito la zuppa di trippa di vitello. Il brodo doveva essere preparato accuratamente, rimestandolo con grossi cucchiai di legno. Ma si poteva cucinare anche il cosiddetto “foiolo” in umido, forse la trippa per antonomasia.
Ma i vecchi milanesi erano pure molto legati ai “rustìn negaa”. Si trattava di nodini di vitello rosolati assieme alla pancetta e affogati in salsa di vino bianco. Qualcuno avrà sentito parlare anche dei delicatissimi (si fa per dire) “mondeghili”, ossia polpette che erano prodotte con carne di manzo, salsiccia e mortadella.
E l’uovo all’occhio di bue con contorno di asparagi immersi nel burro e nel formaggio ? Era battezzato “oeuv in cereghin” e veniva gustato in qualsiasi momento dell’anno.
A proposito di asparagi, si raccontava spesso, nel mangiarli, di quel poveraccio proveniente dall’Est che, non avendoli mai conosciuti, masticava il bianco di questa verdura scartando contemporaneamente il verde…
Alla fine del pasto si consumava la “barbagliata”, un misto tra caffè e cioccolata, corretto con dell’ottimo cognac. Si dice che il primo personaggio a mescolare i due elementi fosse il napoletano Domenico Barbaja (1778 – 1841), noto impresario teatrale, il quale non smetteva mai di promuovere questa bevanda presso il Caffè dei Virtuosi nel corso di Porta Nuova (oggi via Manzoni). Altri commensali preferivano invece chiudere il pasto con la “resumada”, ossia caffè versato su un uovo sbattuto ben zuccherato.
Non mancava quasi mai il dolce “oss de mort” (ossa dei morti) gustoso biscotto di discrete dimensioni, a base di mandorle tostate con retrogusto di cannella.
Mi accorgo solo ora, riferendomi alla storia dei piatti milanesi, di essermi sempre riferito al passato. Nulla di più sbagliato perché certi “mangiarini” (come si definiscono a Milano certe succulente portate), sono pienamente apprezzati anche nel 2020.