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Milano, 6 marzo 1853

Ci ricordiamo spesso delle ben note Cinque Giornate che hanno infervorato la nostra città (18-22 marzo 1848), ove si attaccava l’invasore austriaco che da troppi anni ci opprimeva e ci angustiava. Purtroppo l’avventura non finì come ci si attendeva.

Il generale Radeztky ebbe modo di riorganizzare il proprio esercito e di ritornare a Milano con risvolti ancora più aggressivi di prima. Ma davvero i nostri concittadini non vollero tentare una seconda sortita contro le truppe di Vienna ?

Va prontamente menzionato che ci fu un progetto insurrezionale, ideato niente meno che da Giuseppe Mazzini, il quale, esule in Svizzera presso Locarno, finanziò parzialmente l’impresa in chiave anti austriaca.

La disponibilità necessaria di armi, giudicata in partenza già scarsa, si rivelerà purtroppo insufficiente nel corso delle operazioni relative. Ma il convinto repubblicano non volle retrocedere e invitò subito gli studenti universitari di Pavia a partecipare alla sommossa.

Prima di dar vita alla stessa, convocò a Locarno alcuni esponenti di spicco tra cui Achille Majocchi, esperto militare, Enrico Cosenz, generale, Gaspares de Rosales, patriota e grande amico di Mazzini, Filippo De Boni, giornalista e patriota.

Diversi congiurati, tuttavia, tra cui Enrico Besana, un politico particolarmente abile, avanzarono parecchi dubbi sulla buona riuscita delle operazioni, ma Giuseppe Mazzini volle dare il via alle stesse in data 6 marzo 1853, con l’ordine di attaccare i seguenti obiettivi: il fortino di Porta Tosa, il Castello Sforzesco e il Comando Generale.

Purtroppo, dei cinquemila combattenti previsti, aderirono soltanto in duemila. Addirittura, si presentarono ufficialmente in poche centinaia, nessuno al Castello. Risultato: dei tre obiettivi inseriti, risulterà provvisoriamente conquistato soltanto il cocorpo corpo di guardia del Comando Generale grazie soprattutto al coraggio di una trentina di Milanesi, i quali,  contando soprattutto sul fattore sorpresa, riuscirono a disarmare alcune decine di militari.A Porta Tosa si riuscì a mettere in piedi alcune barricate, ma gli insorti incontrarono grandi difficoltà nell’affrontare il nemico, tanto che Achille Majocchi e il cospiratore Giuseppe Piolti de Bianchi, convinsero gli insorti a desistere.
Alle sette di sera tutti gli scontri si conclusero e si lamentarono 10 morti tra i Milanesi, 15 tra gli austriaci, 70 feriti complessivamente. Tra i rivoluzionari catturati, ben 15 vennero subito condannati a morte e altri 9 nei giorni successivi. Le sentenze  vennero emesse con criteri da terzo mondo.
Si pensi che un docente venne condannato perché, secondo l’accusa,  aveva con sé una “stanga di ferro”, mentre in realtà si trattava di in suo bastone da passeggio, in legno.
Dopo la tragica conclusione dell’impresa, Mazzini scrisse tra l’altro: “Mi ritiro da ogni tipo di cospirazione nel mio Paese. Continuerò a esprimere le mie idee, ma soltanto ricorrendo alla penna”.
Il processo unitario d’Italia andava però sempre più completandosi e si compiva finalmente nel marzo del 1861 con la proclamazione del Regno d’Italia.

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